LETTERA DI LORIS BERTOCCO. Loris Bertocco ha messo fine alla sua vita. Ancora una volta, da solo, in una clinica svizzera. 59 anni, spenti con un’iniezione, guardando forse le montagne e chiedendosi perché, perché a lui, perché così. 

La sua storia è un calvario, e ha avuto il coraggio di raccontarla, con dettagli crudi, senza nascondere nulla di un corpo che l’ha abbandonato progressivamente, dopo l’incidente che a 19 anni ha messo fine alla sua autonomia. Racconta in dettaglio tutti i tentativi, tutte le cure, tutte le persone care che con l’affetto e le terapie l’hanno aiutato e sostenuto. E racconta di un attaccamento così tenace da spingerlo a lottare, con tutte le forze della sua giovinezza.



Ha affrontato la paralisi delle gambe, poi di altre parti del corpo, la perdita della vista, ha cercato in sé la volontà indomita per esserci, e far sentire la sua voce, per ottenere per sé e per altri attenzione e assistenza economica, medica, fisioterapia. Si è abbandonato a chi gli ha voluto bene, si è impegnato nel giornalismo, ha puntato sulla sua voce, tramite la radio, ha combattuto battaglie che ha creduto doverose per un senso di giustizia incolmabile, senza mai perdersi d’animo – e chi sa quante volte ha ceduto, e l’ha perso, quest’animo poi ritrovato con uno scatto, l’estremo di nervi sempre più deboli.



Poi, ha deciso che non ce la faceva più. Ed è straziante scorrere riga per riga la sua confessione, che quasi è una richiesta di giustificazione, di perdono per il gesto che ha scelto di compiere. Non lui, perché la vita, come non ce la si può dare, non ce la si può togliere, se non in modo violento. E il sospetto che anche un’iniezione sia una violenza, che qualcuno ha potuto esercitare, sottende questo elenco tragico di cadute e disperazioni. Qualcuno ha puntato sul suo dolore, sul suo assoluto e comprensibilissimo sconforto per fare, su di lui, con lui, una battaglia che chiamano di civiltà, ed è anzitutto una battaglia politica. E’ una parte cui Loris apparteneva, con cui ha condiviso prese di posizione, fino a isolarsi per una causa e per smuovere ancora una volta l’opinione pubblica che pare indifferente e ostile. 



La libertà di porre fine alla propria vita è un diritto, ci spiegano. Una vita vale se è degna, e per Loris non lo era più. Nessuno può giudicare se non senza pietà il suo gesto. Nessuno può ergersi a difensore di una morale, semplicemente perché nel male non c’è nulla di morale e di razionalmente comprensibile. La ragione può solo scorrere e sfiorare con rispetto alcuni temi, così semplici, e pure così rari oggi ad esprimersi, perché sembrano ingenerosi, malvagi, privi di umanità. Invece, ricordare che l’uomo non può mai essere scartato, l’uomo ha un valore per il fatto di essere, senza se e senza ma, l’uomo ha tanto da dare, in intelligenza e cuore; ricordare che l’uomo va amato, abbracciato, tanto più quanto è fragile, sarà fuori moda, ma è l’unico baluardo che ci resta per non finire repentinamente in una cultura che sceglie chi vale e chi no, cioè chi rende e chi no, chi serve e chi no. I vecchi non servono, i malati gravi non servono, i bambini prematuri non servono, i disabili creano problemi, e i matti, gli infelici?

Vorremmo un mondo perfetto. Vorremmo il meglio, ed è giusto e sano questo desiderio. Per questo la lettera di Loris così lucida e accorata può avere una sola reazione: che bene meritavi, meriti, Loris. Che grande uomo sei stato, sei, che voglia di vita esprimi, e invochi, e che stupida miopia ti ha poco a poco abbandonato, lasciandoti in mano a qualcuno cui servivi, anche morendo, anche da morto. Quanto la tua storia è capace di commuovere, cioè di porci davanti alle domande grandi dell’esistenza, senza le quali ogni vivere è vivacchiare, insensato. 

Che significato ha essere come siamo, che posto abbiamo nel mondo, così come siamo, di chi siamo? Parvenze sbattute nel caos, e precipitate qui su quest’atomo opaco a soffrire? Oppure c’è un varco, una possibilità di riconoscerci figli, e credersi scelti, e infinitamente grandi, nonostante la nostra variabile debolezza? C’è un tempo eterno in cui capire, e ritrovarsi insieme, a tirare le fila del dolore, e sorridere di quanto l’abbiamo reso assoluto, capace di spegnere ogni voglia di vita? Come possiamo star vicini agli uomini che si sentono disarmati e soli, e trovare in noi, e in loro, la bellezza di un’umanità piena? 

I commentatori non si rassegnino a rispettare un gesto dirompente, per cedere all’ineluttabile male, e poi scrollarlo di dosso con il sottile cinismo che ci pervade (non a me, in fondo, almeno non ora). Facile fare prediche dicendo ha ragione, invocando il silenzio perché non si sa come stare, davanti a un fatto così, se non con l’ideologia e i cavilli giuridici. Senza piangere per rispondergli, senza aver potuto incontrarlo, Loris, per dirgli che persona bellissima era.