Una storia tanto complessa quanto particolare, anche se non certo unica nel panorama della Chiesa Cattolica: un figlio di un prete, cattolico, che dopo una vita in “segretezza” ha deciso di fare di questo suo particolare passato un impegno costante e vivo per il presente e il futuro. Oggi Vincent Doyle, 34 anni, psicoterapeuta irlandese e soprattutto fondatore e anima di Coping international (Coping sta per Children of priests) ha spiegato la sua storia al quotidiano “Il Giorno”. La sua è un’associazione riconosciuta dalla Chiesa nata per offrire tutto il supporto psicologico e spirituale ai figli “segreti” dei sacerdoti, esattamente come Doyle. Suo papà era un parroco di Longoford, nella diocesi di Ardagh e per molti anni il rapporto così stretto e vicino alla madre e a quello stesso bambino che stava crescendo fu piuttosto sospetto, come racconta intervistato da “Il Giorno” lo stesso Vincent Doyle: «Attenzioni e dolcezze raccontavano di un legame viscerale che andava oltre il ministero sacerdotale. Poi, una mattina, avevo 28 anni, mentre rovistavo fra le carte di casa, ho trovato una cartella piena di poesie scritte da lui. Quei versi nei toni erano così simili a quelli che componevo io. È stato come se fosse ancora lì vicino a me. ‘Padre John era il mio papà?’, chiesi a quel punto a mia mamma. Le scese una lacrima dagli occhi, era la verità. Quel giorno sarebbe stato il compleanno del mio babbo. Morì nel 1995, io ero dodicenne», si legge all’inizio dell’intervista, dove il figlio del sacerdote riconosce che a quella notizia sconvolgente seguì una sorta di sollievo, «Ho sempre pensato che padre John fosse il mio papà biologico e che qualcosa mi fosse stato nascosto».



Non lo ha mai odiato quel padre consacrato, e nemmeno la mamma, racconta Vincent che poi crescendo sviluppò l’interesse per eventuali altre situazioni simili alla sua: «Non aveva senso che mio papà fosse l’unico sacerdote ad avere dei bambini, così come non era possibile che fosse il solo presbitero a mantenere in segreto la sua famiglia». Padre Doyle infatti per tutti quegli anni tenne nascosto pubblicamente quel figlio, ma aiutò sempre da vicino quella famiglia a lui così legata, ovviamente. «Sono cresciuto con mia mamma e il mio patrigno, persone buone e dolci. Padre Doyle era il mio padrino. Con lui ho trascorso fine settimana e vacanze. Sono stato benedetto per questo. Oggi mi manca ogni giorno. È morto rimanendo fino alla fine sacerdote. Sapeva che non poteva essere mio papà pubblicamente, ma ha fatto tutto il possibile per mantenere mia madre e me. Voleva essere parte della mia vita. Questo è un aspetto che solleva un problema importante», spiega Vincent Doyle.



PRETI SPOSATI E PAPA FRANCESCO

Per quel ragazzino divenuto ora adulto sembra difficile ancora oggi che la Chiesa possa tenere il “veto” sulla possibilità ai preti di sposarsi e avere figli, e non potrebbe essere altrimenti vedendo la sua particolare condizione e situazione personale: lo ha detto anche a Papa Francesco quando nel 2014 con la sua associazione venne accolto in Vaticano. «Gli ho raccontato la mia esperienza personale e gli ho esposto le difficoltà per un bambino nell’affrontare il segreto di un papà sacerdote, perché si tratta di un nascondimento calibrato sulle esigenze degli adulti, non dei più piccoli. […] Gli ho consegnato una lettera e lui mi ha promesso che l’avrebbe letta. Alcuni mesi più tardi dal Vaticano mi è arrivata una risposta con gli apprezzamenti del Pontefice per i sentimenti di carità che motivano le mie iniziative e con un suo ricordo nella preghiera». Il figlio del sacerdote irlandese ha contestato e anche duramente la scelta del celibato dei preti nella Chiesa Cattolica – «Essere un sacerdote non è in contrasto con l’essere un papá biologico. Un prete cattolico può essere un buon padre. Il rito latino della Chiesa cattolica è l’unico che prevede il celibato obbligatorio» – anche se nello stesso tempo rimane legato e fedele alla Chiesa di Cristo, pur non essendo d’accordo su un punto importante come il celibato sacerdotale, tanto da arrivare a discuterne con il Papa in persona.



A proposito, Bergoglio come del resto anche Ratzinger, hanno affrontato negli ultimi anni numerose richieste di “ripensare” la regola sul matrimonio dei preti: «Ci sono, nel rito orientale, ci sono preti sposati. Perché il celibato non è un dogma di fede, è una regola di vita che io apprezzo tanto e credo che sia un dono per la Chiesa. Non essendo un dogma di fede, sempre c’è la porta aperta: in questo momento non abbiamo parlato di questo, come programma, almeno per questo tempo. Abbiamo cose più forti da intraprendere», spiegava Papa Bergoglio il 26 maggio 2014, durante il volo di ritorno dalla Terra Santa. Non è un dogma, anche se rimane un segno molto importante che nella tradizione della Chiesa ha un significato ben preciso: decidere di aprire le braccia a tutti, senza chiuderle su una persona in particolare, è un dono immenso che i Pontificati, anche gli ultimi, hanno sempre ritenuto in forte considerazione come “pietra angolare” per un tema piuttosto delicato e che resta “nell’agenda della Chiesa”, come ha più volte ripetuto Papa Francesco.