D’accordo, questo Weinstein è un poco di buono, e meno male, meglio tardi che mai che qualcuno se n’è accorto e ha avuto il coraggio di parlare, che il girone di Hollywood l’ha espulso, in uno sconcerto di star che stranisce, perché nella coscienza comune lo si sapeva, che i divani dei produttori sono accoglienti e fanno da trampolino di lancio per carriere imprevedibili. Giusto giudicare l’orco, dunque, magari ricordando che non sarà il solo, né il capro espiatorio per tutti. Curioso che lo si molli adesso, moglie compresa, ignari come candide colombe delle sue abitudini. Il sospetto che ci si lavi la coscienza addossandogli ogni nefandezza aleggia, così come quello sul possibile opportunismo di attrici in vena di ribalta. Guai a giudicare loro, quando il malvagio ha nome e cognome e riconosce le proprie colpe. Ma se giudicare è esercizio pericoloso, purtuttavia tocca esercitarlo almeno ad ampio raggio, e dalla realtà trarre occasioni di riflessione.
La dominante inquietante di questi giorni è una: cosa insegniamo alle nostre figlie? Che tante donne celebri per fare o mantenere il successo hanno accettato di vendere bellamente se stesse, e senza costrizioni, se non psicologiche? Davvero era tutte così fragili da non saper dire un no, dato che un’Angelina Jolie l’ha fatto, ad esempio? Siamo da giorni informati con dovizia di particolari delle avances su una giovanissima Asia Argento, una che i film con cotanto padre li avrebbe fatti comunque, anche se non negli States. Tralasciamo le soffiate di Sgarbi, che provengono da un ex marito forse non troppo imparziale, su quanto la fanciulla si sentì lusingata dalle attenzioni del mostro. Vent’anni per capire gli errori sono tantino, soprattutto se a dare la stura al wc delle rivelazioni sono state in tante.
Asia chi? Quella che dava della maiala alla Meloni incinta perché troppo rotonda di forme? Solidarietà femminile. Tocca centellinare gli insulti, o corre il dubbio che le parole grosse siano sparate tanto per. Tanto per farsi notare, ad esempio. Lamenta che le donne non siano solidali, e tira fuori invidia, gelosia, sottomissione atavica. Chissà, forse soprattutto il pensiero che tutta questa indignazione sia un po’ pelosa. Davanti a Weinstein, Asia Argento e le sue colleghe star non erano domestiche a libro paga. Godevano di buona stampa, e parlare anni fa avrebbe sortito gli stessi effetti scardinanti di oggi. Semplicemente, l’orco l’avrebbero ferito prima, e tante attrici sarebbero famose solo per la loro bravura.
Se dici sì, e ti pieghi, e ammetti pure di averlo fatto per timore di veder sfumare la tua carriera, sei soltanto una vittima? Di donne che dicono no ce ne sono tante, ai capoufficio, ai professori; non sono tutte eroine. Dobbiamo giudicare Weinstein, non Asia Argento, ci dicono i moralisti quotidiani dai giornalini del giro buono. Forse non dobbiamo giudicare nessuno, ma se lo facciamo, parti uguali. E un po’ di riservatezza, perché la ridda di esternazioni scandalizzate, adesso, puzza un po’ di moralismo a orologeria. Vogliamo ricordare quante donne soffrono davvero di emarginazione, di violenza, di negazione dei diritti elementari, senza che campagne tanto aspre vengano lanciate sulle prime pagine dei giornali. Per queste vale la pena di indignarsi e lottare, anzitutto, perché non hanno voce. Io voglio la solidarietà femminile, e l’appoggio convinto degli uomini. O crediamo che ad Hollywood fossero davvero più casti e più puri e rispettosi, in grado di dare il buon esempio? Weinstein era un campione del pensiero democratico. Pagava bene. Peccato fossero tutti così distratti sulle sue perversioni. Più attenti a quelle di Trump. Alle nostre figlie dovremmo insegnare che il corpo è tempio dell’anima, anche se è fuori moda dirlo. Che la dignità non ha prezzo, né merita sacrifici, se non per salvarsi la vita, tragicamente. Alle nostre figlie dovremmo insegnare di diffidare del successo facile, che punta solo sulla bellezza. Sfiorisce, insieme a quella interiore, ce lo ricordano i poeti e i filosofi antichi. Dovremmo insegnare che quando si sbaglia, anche solo per debolezza, si parla sommessamente, con pudore. Le prime pagine non si addicono all’amarezza, all’umiliazione vera, al desiderio di dimenticare. Denunciare è sacrosanto, e bisogna accompagnare chi non riesce a farlo, senza se e senza ma. In un campo profughi, in tante periferie disastrate, reali o spirituali, anche vicine a noi. Senza se e senza ma. Ma stiamo parlando d’altro, o no?