«Io so chi ha scritto la lettera “In morte di un’amica”, ma non posso dirlo»: si è avvalso della facoltà di non rispondere l’avvocato Piergiorgio Vittorini durante la nuova udienza per la morte di Lidia Macchi, la giovanissima studentessa di Varese massacrata con 29 coltellate nel lontano gennaio del 1987. «Non posso rivelare il nome del mio cliente», ha spiegato l’avvocato in aula, spiegando di non volere pronunciare il nome della persona che poco tempo fa ha sostenuto e raccontato al legale di aver scritto la celebre lettera anonima intitolata “In morte di un’amica” consegnata ai genitori della ragazza barbaramente uccisa durante il giorno del suo funerale. Quella stessa lettera è uno dei punti chiave per la colpevolezza di Stefano Binda, accusato di essere l’omicida dell’amica ed ex compagna di scuola Lidia. L’avrebbe infatti scritta lui, secondo la procura di Varese, ma ora le rivelazioni dell’avvocato Vittorini potrebbe cambiare tutto: «Il legale, che mesi fa aveva rivelato di conoscere il nome dell’autore della missiva, è stato subito congedato dalla corte d’Assise che, davanti alla sua decisione di avvalersi del segreto professionale, non aveva alternative», riporta il Corriere della Sera.



L’IMPORTANZA DI QUELLA LETTERA

Il componimento anonimo è uno degli elementi che portarono all’ arresto dell’uomo nel gennaio 2016 in quanto, secondo le accuse, conterrebbe riferimenti che potevano essere noti solo all’assassino: secondo Vittorini chi però avrebbe scritto quella lettera sarebbe un suo cliente che all’epoca del delitto era un ragazzo dell’ambiente universitario. «Non conosceva Lidia ma aveva saputo che si voleva ricordarla con scritti e poesia dedicate alla sua figura. In quel contesto scrisse una poesia ispirata ai «Quartetti» di Eliott, su tema filosofico e religioso. Dunque a suo dire la lettera non sarebbe una descrizione della scena del delitto», riporta il Corriere citando le parole dello stesso avvocato Vittorini durante il breve procedimento in aula. Quella lettera è ancora oggi la prova “regina” contro Stefano Binda visto che la Procura con più consulenze grafologica l’avrebbero attribuita proprio all’amico di Lidia e secondo le interpretazioni dell’accusa conterrebbe la descrizione della scena del delitto che solo il suo assassino avrebbe potuto conoscere. Come spiega l’inviato a Varese del Corriere della Sera, «la corte ha disposto una integrazione di perizia, a 60 giorni, su quattro vetrini di resti della vittima rinvenuti nella medicina legale di Varese, per comparare i resti con il dna della vittima e soprattutto con quello dell’imputato». I risultati saranno resi noti a metà dicembre, ma intanto il mistero della lettera rimane e si proverà a capire se effettivamente rimarrà tale il segreto professionale dell’avvocato o vi saranno margini per eventuali interventi della Corte.

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