A Pomeriggio 5 è appena andata in onda un’intervista fatta da Telelombardia sul caso di Massimo Bossetti, il giorno dopo l’uscita delle motivazioni della sentenza per l’omicidio di Yara Gambirasio: si tratta di Agostino Comi, il fratello di Marita e cognato del muratore condannato dai giudici della Repubblica. «Su Massimo Bossetti sono uscite solo notizie costruite dalla Procura. E’ una cosa assurda che Massimo abbia fatto quello che loro dicono. Non abbiamo mai avuto dubbi, adesso più che mai. Erano loro che volevano metterci dei dubbi con gli interrogatori martellanti che ci hanno fatto, non erano cose che stavano né in cielo né in terra, – dice tra le altre cose Agostino Comi – Io ero al bar con Massimo il giorno dopo la scomparsa di Yara e l’ho guardato negli occhi: è sempre stato normalissimo, non credo che una persona che abbia fatto una cosa del genere rimanga sempre impassibile, lui non sa fingere. Poi se mi mettevano davanti veramente le prove, ma non me l’hanno mai messe, per cui…». Innocente per lui, e innocente per la moglie Marita che a L’Eco di Bergamo ha rilanciato, «Lei pensa che sia impossibile che sia stato Massimo, aspettiamo che esca subito la verità, il più presto possibile logicamente».



USCITE LE MOTIVAZIONI DELLA SENTENZA

Sono uscite in questi giorni le motivazioni della sentenza contro Massimo Bossetti e sono agghiaccianti: «ha fatto dalle avances alla piccola Yara Gambirasio mentre bighellonava attorno alla palestra», ma dopo il rifiuto della ragazza e lui per paura di essere riconosciuto l’avrebbe rapita e poi uccisa. Sono motivazioni “choc” perché non erano state poste durante il primo grado di giudizio e anche per questo ha provocato la reazione del cognato stesso: «Ha agito vigliaccamente nei confronti di una ragazzina indifesa, aggredita per motivi sicuramente spregevoli, lasciata morire in preda a spasmi e inaudite sofferenze in un campo abbandonato e lontano a causa del freddo e delle ferite’ Bossetti ha poi continuato a vivere con assoluta indifferenza rispetto al grave fatto commesso e ha continuato a manifestare, a tre anni di distanza, interessi sessuali verso tredicenni’ come provano le ricerche sul suo computer», scrivono i giudici della Corte d’assise di appello di Brescia. Sul fronte del Dna, considerata ancora la prova regina contro Bossetti, le motivazioni spiegano «Quello che è certo – scrive il presidente estensore – è che non vi sono più campioni di materiale genetico in misura idonea a consentire nuove amplificazioni e tipizzazioni’ e quindi una eventuale perizia ‘sarebbe un mero controllo tecnico sul materiale documentale e sull’operato del Ris». Ma questo resta il vero problema di tutto il caso, con la difesa che lavorerà su questo mistero attorno al dna per l’ultimo ricorso.

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