Ieri è stato il cognato a ribadirne l’innocenza, oggi tocca alla madre parlare in sua difesa: la famiglia di Massimo Bossetti non ha dubbi sulla sua estraneità in merito all’omicidio di Yara Gambirasio. «Un innocente in carcere», così lo descrive Ester Arzuffi oggi ai microfoni su Mattino 5. La famiglia del muratore di Mapello è preoccupata: «Ovviamente è un momento di grande apprensione. Credo che sia impossibile immaginare come possa sentirsi mio figlio in carcere da innocente. È ovvio che Massimo sia estremamente demoralizzato. Spero solo che la forza che ha avuto fino a oggi continui», ha aggiunto la madre dell’uomo condannato all’ergastolo per il delitto della ragazza di Brembate. La donna ha anche ribadito che continuerà a chiedere che venga effettuato un nuovo esame del Dna: «Continueremo a chiederlo fino a quando avremo fiato in corpo per gridare che mio figlio è innocente. È importante che esca fuori la verità anche per sapere cos’è successo davvero a quella povera creatura di Yara». 



MOTIVAZIONI SENTENZA E RICOSTRUZIONE DEL DELITTO

La Corte d’assise d’appello ha però ricostruito l’omicidio di Yara Gambirasio nelle motivazioni della sentenza che ha confermato l’ergastolo per Massimo Bossetti. Quest’ultimo ha bazzicato nella zona della palestra dove si allenava la ragazzina, aspettando di intercettarla dopo la sua uscita. Il carpentiere, secondo la ricostruzione dei giudici, l’avrebbe attirata nella trappola e poi stordita, portandola via. Dopo averla ridotta in fin di vita, è tornato a casa. Ma perché Massimo Bossetti avrebbe commesso l’omicidio, aggravato dall’aver adoperato sevizie e agito con crudeltà? Questo aspetto è chiarito nelle motivazioni della sentenza, dove viene descritta – come riportato da Il Giorno – «un’indole malvagia, priva del più elementare senso di umana pietà», che ha colpito più volte, con azione prolungata, «vigliaccamente e senza alcun segno di ravvedimento» con l’intento di vederla soffrire. Il movente «può essere circoscritto nell’area delle avances sessuali respinte, della conseguente reazione dell’aggressore a tale rifiuto unita al sicuro timore dello stesso di essere riconosciuto». Il dna è la pietra miliare dell’accusa: il “profilo genetico” di Ignoto 1 rimasto sulla vittima coincide con quello di Massimo Bossetti. L’unico punto di appoggio della difesa è rappresentato dall’assenza del dna mitocondriale dell’imputato, che però non individua non il singolo individuo ma la linea di ascendenza materna.

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