Il 19 ottobre del 2009 ci lasciava don Giorgio Pontiggia allora rettore dell’Istituto Sacro Cuore di Milano e guida di Gioventù Studentesca. Prima ancora di essere rettore, prete o altro era innanzitutto un uomo che era stato travolto dalla passione dell’incontro con Cristo trasmessagli dal suo amico e padre don Luigi Giussani. Chi ha avuto l’occasione di incontrarlo potrà commentarlo in tanti modi diversi, ma non negare che era un uomo come pochi e che non lasciava indifferenti e tranquilli.
Entrava nella vita delle persone di schianto, provocando e combattendo su tutto. Non c’era particolare della vita che non venisse sfidato da don Giorgio, il quale invitava ad andare sempre più a fondo delle cose. Sono incancellabili nella mia mente le tante corse sulla sua Golf R32 (rigorosamente senza cintura perché era un ribelle su ogni cosa) in cui commentava la genialità umana di Gaber e la passione trasmessa da alcune canzoni di Battisti. Oppure quando qualcuno gli confidava che gli piaceva una tal ragazza e subito rispondeva dicendo: “Se ti piace cerca di capire dove abita, che musica ascolta e il gusto del gelato preferito. Conoscila! Esci con lei e verifica sul campo se è un rapporto che ti fa crescere!”. Non era un teorico don Giorgio. Gli interessava solo ciò che faceva vivere come un uomo vero, cioè come un santo. Per lui questi due termini erano sinonimi come aveva appreso dallo stesso don Giussani quando aveva letto la sua prefazione al libro “I santi” di Cyril Martindale.
Era però un uomo che leggeva, parecchio! Per tutti i miei anni di liceo ad esempio mi aveva dato da leggere almeno un libro al mese e mi interrogava una volta finito sui passaggi più importanti. Suggeriva sempre di paragonare la propria esperienza con i grandi della storia come l’allora cardinal Razginger, Eliot, Charles Peguy, Graham Greene e tanti altri ancora. Proprio Peguy era uno dei suoi preferiti e lo scoprii a mie spese quando durante una riunione con lui per la scelta del titolo di una vacanza di Gs votai contro una frase da lui proposta e quando si accorse che ai voti non era passata si alzò e mi gridò contro: “È una frase di Peguy, pirla!”. Dopodiché agì come faceva sempre: si mise a raccontare tanto su Peguy che quell’anno la famosa frase fu stampata su una maglietta venduta al Meeting di Rimini. Così la citazione “Dio c’è, non sei tu, rilassati!” divenne famosissima. Dopo l’estate mi incontrò e ricordo che mi disse: “È stata la maglietta più vendute di tutte!” E mi abbracciò calorosamente, come solo lui sapeva fare. Perché lui si scontrava con tutti, ma non amava gli scontri, ne soffriva e voleva poi tornare a far la pace, soprattutto se era uno dei “suoi ragazzi”.
Io sono solo uno delle migliaia di ragazzi tirati su da don Giorgio e la mia probabilmente non è neanche una delle storie più interessati. Sono semplicemente uno dei tanti ragazzi diventati uomini seguendo le orme di un padre che si è speso fino all’ultimo minuto per invitarci a spendere la vita per costruire qualcosa di grande ricordandoci sempre che non si parla dell’amata, ma la si ama. In fondo era qui la sua rivoluzione educativa in un periodo culturale pieno di ideologie. Memorabile a tal proposito quando riprese, urlando ovviamente, un ragazzo che aveva presentato una canzone con il titolo “La canzone dell’ideale” dicendo “Si intitola Parsifal!”.
Non ci sarebbe spazio in nemmeno dieci libri dei tanti aneddoti su don Giorgio. Ma l’ultima cosa che vorrei dire è che tanti se ne sono aggiunti anche dopo la sua morte perché molti dei suoi ragazzi sono diventati grandi nel frattempo, alcuni vecchi addirittura, e hanno anche loro tirato su dei ragazzi curiosi, aperti e con poca voglia di perdere tempo in tante parole perché preferiscono amare Cristo sul campo. Quindi oggi è un giorno di festa, di gioia perché il tempo che passa ci dà l’occasione di festeggiare questo importante anniversario e di constatare che ciò che abbiamo imparato da quest’uomo è sempre più da ri-scoprire.