Ne ha fatta di strada da quando lo chiamavano don Spritz, con tono simpaticamente sarcastico, come a dire: “chissà se è proprio un prete, questo”. Quando si accostava ai tavolini dell’aperitivo, nella movida della sua Padova, per agganciare i ragazzi. Non cercava il giro buono, don Marco, se poi è andato a fare il parroco al carcere Due Palazzi, e ha imparato a guardare gli uomini e la sua vita con misericordia e speranza. Non è affatto il prototipo del prete di strada, cui in troppi oggi si adeguano: mentre dà l’anima per gli ultimi che ha scelto di accompagnare, scrive, legge, dibatte, e si vede che l’ambito culturale è il suo. Non per ricavarsi un hortus conclusus, ma per attingere, e dare acqua alla sua sete. Di conoscenza, di verità, per l’inquietudine sana che si placa sì in Dio, ma senza escludere neanche un pezzettino di ragione, che ci ha dato Lui.
Don Marco parla bene in tv, lo si apprezza quando interviene per “A Sua Immagine” o su Tv2000. Si vede che è a suo agio, perché lo è nella vita, e sa incontrare le persone in studio, comunicare con gli spettatori, come coi suoi parrocchiani. “Il carcere è lo spazio che mi permette di tenere i piedi per terra e soprattutto di riconoscere che l’unico dogma che i poveri capiscono è quel che passa attraverso la carne”. L’uomo al centro, in relazione col Mistero, questo lo interessa, in ogni situazione.
Credo sia lo spirito che lo ha mosso ad accettare una bella sfida, per Tv2000: raccontare, commentare, comunicare il Padre Nostro, la preghiera più bella, la preghiera di Dio, donata, e capace oggi come allora in quell’angolo di Palestina, di toccare le corde del cuore e della mente, di chi è credente e di chi non lo è. Don Marco l’ha pregata, ha studiato certamente la teologia e la letteratura, ma quel che più gli preme è metterla in gioco, far vedere come interroga, e quindi cambia, chi ha la voglia di leggerla per sé, per tirar fuori le uniche domande che contano nella vita. Quelle sull’io, e quindi su Dio. Ha cercato scrittori, filosofi, uomini e donne di spettacolo, dello sport, volti noti, riconoscibili, che non sono estranei alle fragilità e irrequietezze di tutti. Che non credono, forse. Perché “Io mi ero abituato a recitare il Padre Nostro, e ho dovuto smontare questa preghiera, in tanti pezzi, in tante parole, per farmele raccontare per negazione da coloro che non Lo riconoscono, mio Padre”.
Sono nate così quattro “catechesi laiche”, “che mi han fatto riscoprire la bellezza di ciò che avevo in tasca. Ho dovuto fare quel che diceva Goethe: quello che erediti dai tuoi padri devi riconquistartelo”. Ha aggiunto alle testimonianze sentite di Umberto Galimberti, Carlo Petrini, Pif, Maria Grazia Cucinotta… le storie di gente comune, che toccano ancora il carcere, la disabilità, la scuola, la ricerca del padre, la vocazione alla vita monastica, il terremoto, rendendo protagonisti quelli che nessuno conosce. Perché figli dello stesso Padre.
E poi, a programma in registrazione, don Marco ha ascoltato il suggerimento di un suo ergastolano, e ha chiamato il papa: e il papa, com’è naturale con Francesco, ha risposto, gli ha regalato, ci ha regalato, un tempo lungo, e infinito, di parole e sorrisi, ricordi. Ha spiegato il Padre Nostro, come si fa coi bambini e con la sapienza che nemmeno gli adulti riescono a comprendere. L’ha spiegato a don Marco, che avidamente gli ha fatto domande, e si capisce che sono innanzitutto per sé, non per fare un programma. “Avevo voglia di chiedere a chi per me rappresenta Gesù, e ho avuto la percezione di dialogare con un uomo che ogni giorno Lo incontra. Perché quando senti che una persona porta il profumo di Cristo la prima cosa che vuoi fare è attaccarti a lui, abbracciarlo stretto”.
Don Marco è a suo agio anche alla Filmoteca Vaticana, dove i papi vedono i film, incontrano gli artisti, dove si è presentato ieri e realizzato un progetto globale raro tra media cattolici, “la convergenza invece che la concorrenza”, ha spiegato mons. Dario Edoardo Viganò, Prefetto per la Comunicazione della Santa Sede. “Padre Nostro” significa 9 puntate su Tv2000, da mercoledì 25 ottobre fino al 20 dicembre, alle ore 21. Significa un libro, edito da Rizzoli e dalla Libreria Editrice Vaticana, “per prendere il dono che ci ha fatto il papa. E restituirlo a quante più persone possibile, in quante più forme possibili”. Quelle che hanno sete, e quelle che non sanno di averla; quelle che chiamando Dio Padre hanno un’idea di cosa sia il paradiso, dice Francesco. E quelle che al padre vorrebbero gridare, non osano chiamarlo per nome.
Don Marco ne ha fatta di strada: coi piedi nella carne del carcere, la brama e la baldanza di un uomo in cerca, un pellegrino, che non può accontentarsi di formule, non può adattarsi agli slogan, vecchi e nuovi. Combatte la buona battaglia, e non si dà tregua, osando, senza alcuna presunzione se non quella di sapersi amati, scelti. E ha sperimentato che a bussare con insistenza le porte si aprono. Toccherà ringraziarlo, perché le immagini, le voci e le parole raccolte sono un piccolo essenziale catechismo, quello che basta per sentire di nuovo la perenne novità del fatto cristiano.