Nei giorni scorsi tre ragazzi della comunità terapeutica maschile de l’Imprevisto di Pesaro hanno terminato il loro percorso. Durante un incontro di saluto, attorniati da tutti i loro compagni di viaggio, Matteo ha detto: “Quello che mi porto via è il motivo, il perché sono qui, che innanzitutto non è la droga, ma è molto di più: è la mia persona, quello che qui ho incontrato, la chiamata che ha ricevuto la mia persona. Lo so e lo capisco perché un tempo ero niente e di nessuno ora invece ho quello che non ho mai avuto”.



Andrea, il secondo ragazzo, ha affermato: “Ora ho una grande speranza, mi sento addosso una positività immensa, ho incontrato una cosa così bella che mi fa dire che tutto, veramente tutto, anche il male sarà sempre bello. E capisco che il punto più importante non è il bello, ma il sempre. La parola chiave è il per sempre”.



Enrico, l’ultimo, ha aggiunto: “Ho imparato un modo, un metodo, so cosa chiedere e a chi chiedere… e quello che più mi ha colpito dell’esperienza vissuta è guardare la forza degli operatori. Non passava giorno che non mi interrogassi sull’energia, sulla forza che portavano. Mi chiedevo: chi gliela dà a loro tutta questa forza, da dove gli viene, dove la prendono? Quando sono pieno di questa domanda mi accorgo che sono pieno di una grande felicità”.

E’ proprio vero – mi dicevo mentre li guardavo parlare – che i ragazzi “non sono vasi da riempire, ma fuochi da accendere”, come dice Plutarco. Perché possa divampare la domanda della vita, perché la vita sia vita e possa esplodere occorre un fuoco, l’irrompere di una novità ardente, infiammata. 



Ma soprattutto mi domando, stupito e commosso continuando a guardare i miei ragazzi, dove l’han vista questa forza di cui parlano, dove l’han visto questo “per sempre” in noi educatori così poveri e piccoli come siamo? Cosa vuol dire essere pieno di una domanda ed essere felici? Come questi ragazzi possono pensare e dire questo?

E’ come affacciarsi sull’orlo di un abisso, in faccia ad un grande mistero… E’ Dio che prende parola tra le pieghe della povera e piccola umanità delle nostre persone.