Benedetto XVI, il grande Papa Emerito che all’alba dei suoi 90 anni ha ancora tutta la forza e la lucidità di raccontarsi in un libro appena pubblicato per le edizioni Tallandier e scritto dal giornalista e storico Christophe Dickès. Si intitola «L’eredità di Benedetto XVI» e raccoglie il dialogo ampio e su tanti ambiti tenuto da Ratzinger con lo storico francese negli ultimi mesi. In una intervista ad Aletheia, Dickès ha voluto raccontare tutta l’esperienza incredibile di un privilegio del genere, nel poter ospitare le riflessioni dell’uomo che soltanto gli analisti e vaticanisti meno attenti definiscono il Papa-ponte tra i due grandi papati di Giovanni Paolo II e Francesco. «Alla fine del mio libro spiego che ogni pontificato possiede un’identità propria. Un vaticanista spiegava che Giovanni Paolo II era stato il Papa della visibilità della Chiesa, Benedetto XVI quello dell’identità e che Francesco sarebbe quello della maternità. Benedetto XVI ha avviato una serie di profonde riforme insieme strutturali e spirituali, dando ai cattolici in tutto il mondo un senso di fierezza nelle società secolarizzate che li irridono. Questa tappa riformatrice è essenzial», spiega Dickès ai giornalisti di Aletheia, provando a dare il tratto di un Papa Emerito novantenne tutt’altro che moribondo – come alcuni hanno avanzato anche in questi ultimi giorni – che ha a cuore il destino, il bene e la semplicità della Chiesa di Cristo.



LA RINUNCIA E IL VUOTO DI POTERE

L’incontro avuto da Dickès con Papa Ratzinger è stato tanto semplice quanto intenso, racconta il giornalista francese: una semplicità disarmante e una capacità di ascolto «fuori dal comune. Forse lei non lo sa, ma il termine “pontefice” designa l’essere un ponte tra Dio e gli uomini. La sua fragile silhouette era – avrebbe detto Bernanos – trasparente. Non nel senso peggiorativo del termine. No. Attraverso di lui, mi sentivo semplicemente un po’ più prossimo al buon Dio. Tornando ad immergermi nella sua opera, è questa la realtà che balza agli occhi con la forza dell’evidenza: Dio c’è». L’intervista e il libro sono state ovviamente l’occasione per tornare una volta di più sulla clamorosa decisione di rinunciare al proprio Servizio per la Chiesa e indire un nuovo Conclave dove poi sarebbe stato eletto Papa Francesco. Ancora Dickès: «bisogna attenersi alle ragioni date da lui stesso, e quindi alla fatica e all’incapacità di adempiere ai doveri del proprio ufficio. Sono fiorite molte tesi complottiste, a destra e a manca. Esse sono – come tutte le tesi complottiste – inverificabili. Mi attengo quindi a quello che lui ha detto, anche se delle cause esteriori hanno oggettivamente pesato nella sua decisioni». Secondo il Papa Emerito la possibilità di ripetere l’esperienza di Giovanni Paolo II negli ultimi anni della sua malattia, dove rappresentava la testimonianza della sofferenza e del sacrificio per Dio e per gli uomini con la sua stessa persona, non era replicabile. «Esiste in Benedetto un grande pudore, tanto che non ha desiderato che il suo declino fisico fosse esposto all’occhio delle telecamere di tutto il mondo. È una sua scelta, e soprattutto – bisogna ricordarlo – un suo diritto, nel senso proprio del termine, perché la rinuncia del Papa è prevista dal diritto canonico».



“I MEDIA NON HANNO MAI CAPITO RATZINGER”

Interessante poi il passaggio dove il giornalista chiede allo storico francese perché secondo lui i media sia prima, che durante e ora anche dopo il Papato di Ratzinger non hanno mai visto di buon grado il suo personaggio, il suo carattere, scambiandolo spesso per austero e autoritario quanto invece Joseph Ratzinger è l’esatto opposto. «i media non hanno mai voluto fare lo sforzo di mettersi al suo livello. Non hanno compreso la profondità del personaggio, né la sua capacità di rispondere alla sete di spiritualità dei giovani. Prenda la GMG del 2011 in Spagna, che richiamavo poco fa. Un successo planetario: più di due milioni di persone erano riunite all’aeroporto dei Quattro Venti, nella periferia di Madrid, in pieno agosto! Ora, con appena poche eccezioni, i media francesi hanno silenziato questo immenso successo. Al contrario, al minimo “passo falso” del Papa deformavano il suo pensiero estrapolando frasi dal loro contesto». Il pensiero va ovviamente a Ratisbona, al discorso sull’Islam, o sul preservativo in Africa e tanti altri passaggi per nulla perdonati a Papa Ratzinger, mentre con Giovanni Paolo II e oggi con Francesco vengono di contro del tutto “tollerati” da quegli stessi media. «Benedetto XVI ci ha consegnato il tempo del silenzio e della meditazione, della riflessione e della parola, del necessario dibattito e del dialogo onesto. Ha preferito tutto questo alla dittatura mediatica dell’emozione e ai «guardiani di un mondo fittizio e moralista che escludeva dalla discussione le realtà ultime».



LA CRISI MORALE E SPIRITUALE

Nel libro “L’eredità di Benedetto XVI”, lo storico francese spiega ancora come addirittura, paradossalmente, più di Giovanni Paolo II e Francesco, il pontefice tedesco ha trovato le risposte alla crisi spirituale e morale che il mondo moderno conosce (anzi, disconosce ndr) sempre più. «Giovanni Paolo II ha risposto alla modernità del suo tempo collocando l’uomo al centro del proprio pontificato. Lo ha fatto fin dalla sua prima enciclica, la Redemptor hominis. Mettere l’uomo e la sua libertà al centro era un modo di rispondere al totalitarismo sovietico. Benedetto XVI, invece, è stato posto a confrontarsi con un nuovo totalitarismo, quello del relativismo, dell’individualismo e dell’edonismo. Ma la sua opera parla tanto ai Paesi poveri e in via di sviluppo, tentati dai modelli occidentali, quanto ai Paesi occidentali stessi», spiega il giornalista, sempre nella lunga intervista ad Aletheia. Questo non significa che non via sia una continuità, anzi, è stato tutt’altro che un Papato divisivo per quanto invece è stato trattato e raccontato così. « L’uno e l’altro formano un unico pontificato lungo 35 anni. Il pontificato di Francesco resta molto marcato dalle origini del pontefice argentino. Esso è assieme sociale e politico. L’uno e l’altro operano una suddivisione differente, mi sembra: la politica annoiava Benedetto XVI… egli ha desiderato di agire là dove si sentiva più a suo agio, dandosi un ruolo di docenza e collocando l’intelligenza della fede al cuore del pensiero cristiano». È proprio quell’intelligenza della fede che forse potremmo rintracciare come l’eredità più grande che i cristiani possono ritrovare nella loro vita, nelle loro esistenze. Se ne accorgeranno forse tra un po’, quando i media magari finiranno di presentare quel Papa come un ponte “silenzioso e poco espressivo”: una fede semplice, un cuore indomabile e un’intelligenza che ridona luce a quella Chiesa Cattolica che tanto ne ha avuto e tanto ne avrà bisogno ancora.