I lanci di agenzia, nel raccontare la vicenda di Andrea Speziali, il giovane di Rimini che ha filmato e postato su Facebook in diretta la morte di Simone Ugolini, altro giovane riminese che si era schiantato in motorino contro un palo e che agonizzava sull’asfalto, insistono sul fatto che ha ripreso la scena “invece che chiamare i soccorsi”. Non è questo il punto, e del resto Andrea non ha avuto problemi a spiegare nell’intervista al Resto del Carlino che c’era già altra gente che aveva avvisato l’ambulanza. Il punto è più terribile. Il punto è, mi azzarderei a dire, una svolta di civiltà. Perché il rispetto per i morti è antico quanto la civiltà umana. Perché anche i più irriducibili nemici, di fronte al cadavere dell’avversario, avevano un momento di rispetto. Achille, che infierisce contro il corpo di Ettore, diventa bersaglio dell’esecrazione universale. Lasciare un cadavere insepolto è una sfida agli uomini e agli dei, e per seppellire il corpo di Polinice Antigone si gioca la vita. Eccetera. Perché allora un ragazzo di oggi, di fronte al momento supremamente sacro — comunque sacro, a prescindere dalla posizione religiosa di ciascuno, perché è il momento in cui il mistero della vita si compie — della morte ha come prima reazione estrarre lo smartphone e filmare?
Non lo so con certezza. Ma azzardo. Forse nessuno gli ha raccontato la storia di Achille e quella di Antigone, per lo meno non in maniera tale da trasmettergli il valore che millenni di civiltà hanno riversato e riconosciuto in quei miti. O forse — e se è così è peggio — quel che è venuto meno non è la cultura, ma la realtà. La realtà, la realtà così com’è; la differenza — se volete — fra la realtà in carne e ossa e la sua rappresentazione virtuale. Un paio di secoli fa Hegel ha scritto che “tutto ciò che è reale è razionale, e tutto ciò che è razionale è reale”. Oggi si potrebbe parafrasare: “ciò che è virtuale è reale, ciò che è virtuale è reale”. Ho chiesto ai miei alunni di portare a scuola come compito qualche cosa di bello, qualcosa che fosse bello per loro. Quasi tutti hanno indicato lo smartphone: “perché qui dentro c’è tutto”.
Infine. Non dico niente di nuovo se dico che se c’è una cosa che la nostra cultura ha escluso, escluso proprio, completamente buttato fuori dall’orizzonte del reale, confinato esclusivamente ai teleschermi, è la morte. Recentemente è morto il nonno di un mio giovane amico. La moglie dell’amico mi ha chiamato per dirmi inorridita che suo marito voleva portare il loro figlioletto — quattro anni o giù di lì – a vedere il bisnonno nella camera mortuaria. Naturalmente le ho detto che il marito faceva benissimo (e lei, saggia, mi ha dato retta, e il piccolo è stato contento di dare l’ultimo saluto al bisnonno). Non è che un episodio, lo so. Ma sono certo che la cosa di cui abbiamo bisogno, di cui hanno bisogno i nostri ragazzi, è la realtà, quella vera, quella che puzza e fa freddo e sbuccia le ginocchia. Tutta la realtà, morte compresa. Solo così, credo, ci possiamo salvare da una (pseudo) civiltà che di fronte alla morte ha come prima reazione estrarre lo smartphone.