NEW YORK — Mi sembra strano chiamarlo “Lorenzo”. Ogni volta che parlo di lui, cerco di decidere nella mia testa come dovrei chiamarlo. Non ho ancora deciso, così a volte è Monsignor, talvolta Lorenzo e talvolta Albacete. Ma mi sembra sempre che non sia giusto. Dopo la sua morte, mi sono resa conto che non ci siamo quasi mai chiamati per nome.



Quando penso a lui penso a una presenza estremamente familiare, che, entrando nella casa delle Memores Domini a Bronxville, NY, dove ho vissuto e che spesso visitava, passando dall’entrata mi avrebbe chiamato con un “psst”, “hey”, “tu”, “mira”, “vieni qui”. Praticamente è così che avremmo richiamato l’attenzione uno dell’altra. A questo momento sarebbe immediatamente seguito da parte mia quasi sempre una corsa verso di lui per abbracciarlo e baciargli le mani.



Quando sono arrivata a New York, le sue mani erano già costantemente tremanti a causa del Parkinson, anche se non era ancora stato diagnosticato. Notavo che a volte si vergognava di non essere in grado di controllare le mani. Penso che sia per questo che il gesto d’affetto che ho sviluppato verso di lui è stato quello di baciargli le mani. E’ sempre stato il modo in cui gli dicevo ciao e arrivederci. E’ stato anche l’ultimo gesto che ho fatto per lui, prima di chiudere la bara con il suo corpo, nella chiesa di Portorico, ho baciato le mani e gli ho detto “addio, per ora”.



Non so a quante conferenze l’ho portato, camminando con lui verso il palco tenendogli la mano come a un bambino. Mi prendeva in giro e diceva che tutti noi pensavamo che fosse un vecchio decrepito, ma che ci sbagliavamo a questo proposito. Ridevamo entrambi, ma non ha mai lasciato andare la mia mano. Il suo ciao o arrivederci era sempre uno sguardo accompagnato da una qualche sorta di scherzo, spesso con riferimenti alla nostra cultura portoricana. Ma è quello sguardo la cosa che non dimenticherò mai, la cosa per la quale non riesco a trovare un nome appropriato, ed è quello che mi manca ogni singolo giorno da quando è morto. Quando sei un bambino impari a chiamare quello sguardo “padre”, ma quando da adulto hai un padre non biologico riconosci quella misteriosa “paternità” generata dalla fede ma non sai esattamente come chiamarla.

Lo incontrai per la prima volta a un raduno di Comunione e Liberazione, a Chicago. Il mio migliore amico era amico di Lorenzo e mi aveva raccontato molte storie divertenti su di lui. Volevo incontrarlo perché il mio migliore amico lo amava così tanto, e pensavo che avrei potuto essergli amica  anch’io. Siamo arrivati il venerdì e alla sera c’era la messa, e io, fedele alla mia cultura e alla mia personalità, ero in ritardo. Avevo cercato di incontrarlo prima ma era sempre circondato da gente. Correndo verso la messa l’ho visto fuori dalla porta, da solo. Non ho potuto resistere, questa era la mia occasione!

Così ho smesso di correre e sono andata a presentarmi. Ma mi sembrava così strano che lui se ne stesse seduto li, per conto suo, che prima di dirgli chi ero gli ho chiesto: “Non dovresti essere là dentro?”. La messa era già iniziata. Mi guardò e disse: “Lo so a memoria, so cosa gli fanno, alla fine muore…” con il tono che si usa per descrivere quello che succede in una telenovela messicana. Ho riso. Poi disse: “… ma non ti preoccupare, dopo risuscita e tutto è fantastico!” Poi mi chiese chi ero. Mi ricordo che pensai, “che strano prete …”.

Lo incontrai in altre occasioni agli eventi di Comunione e Liberazione ed ero affascinata dal suo modo di parlare delle cose. Ma il mio rapporto con lui è avvenuto quando vivevamo entrambi a New York e veniva spesso a casa nostra. Mi sono sentita voluta bene prima di dire una parola. In un primo momento ho pensato che fosse perché ero portoricana, ma conoscendo molti dei suoi figli ho capito che lui era così, lui ti voleva bene fin dal primo momento e in qualche modo uno se ne rendeva conto.

E’ occorso un po’ di tempo per arrivare a riconoscerlo come padre. Non sono buona come lui. Stavo lottando con la confessione e avevo deciso di parlargliene. Abbiamo parlato del sacramento un paio di volte, e ho capito che questo era qualcosa che poteva concretamente accompagnarmi a scoprire perché era un prete. Gli ho chiesto se potevo confessarmi da lui. Non mi ero mai confessata da un prete che mi conosceva; non so perché, ma mi rende veramente nervosa il solo pensarci.

Il giorno arrivò e questo nervosismo è venuto fuori. Ho continuato a tergiversare parlando di altre cose … A un certo punto ha guardato l’orologio e ha detto: “beh, cosa vuoi fare?” Gli ho detto che stavo pensando che forse non era una buona idea. Avevo paura, anzi pensavo che fosse un’idea terribile! Pensavo che poi avrebbe saputo tutto il mio male e non mi avrebbe più volute bene. Mi disse: “non devi farlo se non vuoi, voglio solo dire che ad un certo punto devo andare”. Gli ho detto: “ok, facciamolo adesso”. Cominciai a confessare i miei peccati, coprendomi il viso con le mani perché non volevo che lui mi guardasse.

Ho cominciato a elencare cose, e alla fine della prima parte ha detto: “lo faccio anche io”; ho continuato e lo ha detto ancora; quando l’ha ripetuto per la terza volta ho tolto le mani dal viso, l’ho guardato e gli ho detto: “Ma questa è la mia confessione o la tua? Perché lascia che te lo dica, non c’è niente che posso fare per te, l’assoluzione va a senso unico ed è da te a me. L’unica cosa che posso fare per te è ascoltarti…”. Ha riso e poi mi ha detto di essere seria con il sacramento, così ho continuato. E’ stata l’unica volta che mi ha detto di essere seria. Quando ho finito, ho sentito il peso della mia paura che lui smettesse di volermi bene. Mi è sembrato che quel momento non finisse mai, poi ho sollevato di nuovo lo sguardo e l’ho guardato.

Mi stava guardando con tutta la tenerezza possibile. Prego Dio di non dimenticare mai quell’istante. Mi ha detto: “Beh, adesso che ci siamo scoperti complici nel peccato preghiamo perché possiamo sempre scoprirci complici nella redenzione”. E’ stato in quel momento, proprio in quel momento, che sono diventata sua figlia.

Ho condiviso quattro anni di vita con lui. Abbiamo riso, litigato, sofferto, pregato, abbiamo scoperto sempre di più Gesù, abbiamo discusso di Portorico, di cibo, di politica, letteratura, film, della sua vita, della mia vita, di tutto ciò di cui eravamo interessati a parlare. Ma devo dire che la mia vita con “Lorenzo” è stata un’avventura straordinaria fatta di un camminare con qualcuno che ti sta tenendo la mano per scoprire di nuovo e di nuovo la redenzione. Non c’è nessuno che ti farà ridere così forte mentre ti fa scoprire la carne di Cristo, che ti farà piangere in fondo all’anima perché la misericordia è presente più di Lorenzo Albacete. Confessarmi da lui è stata la migliore idea che abbia mai avuto e accettare di essere sua figlia è il più grande dono della mia vita. Alla fine è stato lui a tenere la mia mano e lo farà sempre, finché non lo vedrò di nuovo e correrò a baciargliela.

Camil Martinez

Alcuni amici di Lorenzo Albacete hanno creato un ente non profit per coltivare la sua eredità e continuare la sua opera nella Chiesa e nel mondo. www.albaceteforum.org