«Il voto di genere riafferma l’identità sessuale perché al momento di candidarti devi sapere chi sei, maschio o femmina»: quanto detto al Senato da Gaetano Quagliariello (IDEA) durante il voto finale sulla legge elettorale ha scatenato non poche polemiche su una vicenda che con metodi proporzionali, colleghi uninominali, percentuali e seggi c’entra oggettivamente abbastanza poco. «Questa norma porta con sé una conseguenza che certamente non piacerà ai sostenitori della teoria gender e a quelli che ritengono la sessualità fluida e determinata solo da fattori culturali. Il voto di genere riafferma infatti l’identità sessuale, giacché, per poter partecipare a una competizione devi sapere chi sei, quantomeno al momento di candidarti», ha detto per intero durante la sua intenzione di voto per il Rosatellum il senatore ex Ap e ora leader di IDEA. La soglia di genere cui fa riferimento Quagliariello riguarda quanto effettivamente scritto nella legge approvata e or nuovo sistema di voto in Italia: «Nel complesso delle candidature presentate da ogni lista o coalizione di liste nei collegi uninominali della regione, nessuno dei due generi può essere rappresentato in misura superiore al 60 per cento, con arrotondamento all’unità più prossima. Nel complesso delle liste nei collegi plurinominali presentate da ciascuna lista a livello regionale, nessuno dei due generi può essere rappresentato nella posizione di capolista in misura superiore al 60 per cento, con arrotondamento all’unità più prossima» (Comma 4-bis dell’art.2).
“IDEA” SENSATA IN UN CONTESTO (FORSE) SBAGLIATO
Inutile dirlo, le parole di Quagliariello hanno scatenato l’immediata risposta di chi quella legge sulla parità di genere ha contribuito a scriverla, come il senatore Pd Sergio Lo Giudice (primo firmatario del disegno di legge 405 sulla riattribuzione di genere): «Ricordo a Quagliarello che quello che lui chiama ‘teoria del gender’ è la stessa riflessione sulle differenze e sui ruoli di genere che ha prodotto nel tempo le misure di contrasto alle discriminazioni delle donne nella società, sul lavoro e in politica, di cui le quote rosa sono diretta conseguenza. – sostiene ancora l’esponente dem – Saremmo al ridicolo se dietro queste parole non ci fosse in filigrana un senso di disprezzo per quelle donne e per quegli uomini costretti da una legge inadeguata a percorsi tortuosi per affermare, appunto, la propria identità sessuale». E così anche durante il voto sia la Sinistra che il M5s attaccano pesantemente il senatore cattolico per la sua posizione “anti-gender”: un’acuta risposta è arrivata dalla collega di Quagliariello in IDEA, Eugenia Roccella che ha voluto rispondere a tono all’invettiva dem, «Il senatore Lo Giudice dimostra scarsa dimestichezza non solo con l’ironia ma con la realtà. nel suo intervento in aula su legge elettorale, quote rosa e ideologia gender, il senatore Quagliariello si riferiva con ogni evidenza ai candidati e non agli elettori. E’ vero infatti che nell’esercizio del diritto di voto essere maschi o femmine non rileva, ma all’atto di candidarsi, nel momento in cui la legge divide le liste elettorali in quote rosa e quote azzurre, conta eccome. Per potersi mettere in lista bisogna sapere chi si è, se maschio o femmina. A dispetto delle sue teorie sul gender e l’identità sessuale ‘fluida’, bisogna dunque mantenere ferma questa identità quantomeno al momento della candidatura..». Ecco, il contesto in cui Quagliariello ha posto la sua sottolineatura forse non era esattamente il migliore (anzi forse è del tutto errato), un voto per la legge elettorale, ma va anche riaffermato come il tono “ironico” usato andava esattamente a parlare ai colleghi dem appassionati delle campagne pro gender nelle scuole (come insegna il ministro Fedeli, ndr), che almeno davanti a quella giusta scelta sulla soglia di genere «devono sapere chi sono, se maschio o femmina». E non siano fluidi…