ATTENATO DI LAS VEGAS. Christopher Roybal era andato a Las Vegas con alcuni amici a festeggiare il suo 28esimo compleanno. Qualche giorno di divertimento nella “città del peccato”, come viene definita Las Vegas, la città del gioco d’azzardo e delle tantissime donnine disponibili, dove ogni americano almeno una volta nella vita si è recato, a perdere soldi alle slot machine, a ubriacarsi di champagne in suite dall’arredamento trash e inquardabile, a sposarsi per finta da un sacerdote travestito da Elvis. Qualche giorno di pazzia che non si nega a nessuno. Per molti però Las Vegas diventa una sorta di dipendenza: Stephen Paddock, il killer del concerto country ad esempio pare perdesse anche 4mila dollari al giorno ai tavoli da giochi di Vegas. Qui lo scrittore “gonzo” Hunter Thompson ambientò il suo romanzo capolavoro da cui fu anche tratto un film con Johnny Depp, Paura e disgusto a Las Vegas, dove il protagonista invece di giocare alle macchinette si droga dalla mattina alla sera cercando di passare dall’altra parte del sogno americano con risultati disastrosi. Las Vegas è l’America alla sua massima potenza: peccato e, forse, redenzione. Christopher Roybal ha trovato qui il suo inferno e, ne siamo abbastanza certi, anche il paradiso. Come altre 20mila persone l’altra sera si stava godendo il concerto country su cui si sono riversate le pallottole del cecchino psicopatico.
A luglio, sulla sua pagina facebook, aveva scritto un post dall’Afghanistan, dove stava per finire il suo turno di guerra. E’ stato il suo ultimo post, profeticamente inquietante. Si intitola: “Cosa si prova a sentire spararsi addosso?”. Già cosa ha provato l’altra sera Chris quando, scampato alla guerra, in un corto circuito spazio-tempo degno di un X Files ha trovato la morte in patria, a casa sua? “Meno l’1% della popolazione americana sa cosa significhi” scrive il giovane. Dopo la strage di Las Vegas non è più così. Non si viene sparati solo in Afghanistan, non più. “La mia risposta a chi me lo chiede è sempre stata la stessa: non senso di orgoglio o di ego, ma una risposta veritiera piena di paura e rabbia, due cose che vanno mano nella mano” aggiunge. Definisce l’Afghanistan come lo definiscono i canali di news televisive americane, “il posto al mondo dove è più facile morire”. Dopo Las Vegas, anche questo non è più vero. Racconta il suo primo giorno di missione e il primo obbiettivo colpito: “Era come essere in un film, i miei sensi erano sovraccaricati, ma anche un senso di confusione massima. L’adrenalina era a livelli incredibili”. Ma poi la prima volta finisce: “Mentre i combattimenti continuavano e così la violenza, quel senso di eccitamento scomparve in rabbia che è tutto quello che ti rimane quando vedi i tuoi amici morire”. E infine: “Cosa si prova a sentirsi sparare addosso? E’ un incubo senza l’uso di droga, nessuna terapia e nessuna ubriacatura con i tuoi amici veterani ti farà dimenticare quello che hai passato”. Christopher è stata una delle 59 vittime della strage di Las Vegas, forse l’unica a morire sapendo quello che gli stava succedendo. Aveva lasciato l’esercito e lavorava in una palestra di Denver. Quella sera aveva telefonato alla sua ragazza dicendole che si era stufato di Las Vegas e voleva tornare a casa. Ma Las Vegas l’altra sera è stata l’Afghanistan per dozzine di innocenti. Se mai l’America aveva ancora un senso di innocenza, è andato perduto per sempre. Non si può sopravvivere alla guerra in Afghanistan e morire a pochi chilometri da casa e dalla tua ragazza. A 28 anni.