«A Europe we can believe it»: si intitola così il manifesto-dichiarazione sull’Europa da riscoprire e rinnovare, firmato da un gruppo di intellettuali che in questo 2017 alle soglie della crisi profonda in cui versa il nostro Continente ancora credono in una possibilità concreta di “nuovo inizio”. L’inglese Roger Scruton, il polacco ed ex responsabile culturale di Solidarnosc Ryszard Legutko, il francese Remi Brague, il tedesco Robert Spaemann e tanti altri ancora (spicca la mancanza di un italiano nel gruppo, ndr): si potrebbero chiamare i “nuovi” conservatori contro l’Europa dei progressisti che ha definitivamente fallito, ma sono ovviamente molto di più e offrono molti spunti interessanti per provare ad entrare per una volta nelle viscere della crisi e non limitarsi a dire, “siamo in crisi, ma con l’unione si andrà più lontano”. In una bellissima intervista “doppia” a Il Giornale, Scruton e Legutko provano a spiegare i punti cardine di questo nuovo “manifesto” che fa esplicito riferimento ai veri padri fondatori di questa Europa, Schumann, De Gasperi e Adenauer: «negli ultimi due decenni ci sono stati tentativi per dare nuova identità all’Europa, per crearla da zero e rendere tutto più moderno, tollerante, multiculturale. Ma questo lo chiamo lavaggio del cervello», spiega il polacco “fu” Solidarnosc. «Basta confrontare le personalità di Schumann e De Gasperi con quelle di Juncker e Schulz per vedere la differenza tra vera e falsa Europa», vanno giù durissimo gli intellettuali impegnati in una nuova Europa. L’attacco più forte arriva proprio contro il multiculturalismo e il suo fallimento, non solo per gli attentati che stanno devastando il nostro Vecchio Continente: «non si può avere una società in cui nulla unisce i suoi membri», sottolinea Legutko, e aggiunge Scruton «una cultura è il fondamento della fiducia sociale, quella che condividiamo anche con gli sconosciuti. Quando invece ci sono molte culture e non un’unica che le comprenda tutte allora lì c’è la ricetta del conflitto».



DAL ’68 AL POPULISMO

Un’Europa senza anima e un’Europa da comprendere prima di poterla riformare: il manifesto scritto dai “nuovi” conservatori esprime tutta la critica per le debolezze insite in anni e anni di storia europea, e individua nel 1968 un anno decisivo per le sorti dell’Europa ancora contemporanea. «Nel ’68 abbiamo assistito all’invasione dei barbari nelle università diventate agenzie con lo scopo di cambiare il mondo. Prof e studenti diventati attivisti politici per proclamare che è politicamente ammissibile solo ciò che serve la causa del progresso», denuncia il polacco ex responsabile culturale del sindacato cattolico. Il risultato di questo fattore decisivo del ’68, scritto all’interno del Manifesto, ha portato il moderno europeo ad essere de-culturato e sempre più indottrinato, l’esatto contrario della liberazione culturale e sociale. «Il politically correct può esistere solo nelle società che subiscono un processo di de-culturazione». Si sono confuse le “libertà” umane e il risultato è stato che «la libertà di indulgere verso qualunque brama, di appagare qualsiasi appetito, compreso ogni tipo di esperimento sessuale, ogni droga, di sfidare ogni convenzione o autorità che viene contestata e messa a tacere. Questo è successo», replica al Giornale il filosofo inglese. Conservatori che diventano populisti? L’accostamento viene “allontanato” dagli intellettuali, che però riconoscono un fondamentale distinguo: «non so cosa significhi nel merito, so che viene usato contro ogni persona, ogni movimento e ogni idea che si discosta dal mainstream politico. Accadeva la stessa cosa durante il comunismo, quando quelli che avevano una diversa opinione erano accusati di revisionismo e denigrati senza possibilità di esporre le proprie ragioni».



L’UNITÀ DELLA FEDE CRISTIANA

Ma dunque cosa potrebbe “curare” questa anima europea in profonda crisi? Secondo gli intellettuali intervistati, e come si vede scritto nel lungo manifesto da poco pubblicato, va di nuovo immaginata un’Europa con Stati Nazionali uniti in una Europa Cosmopolita tenuta insieme dalla fede cristiana e dalle tradizione di lealtà civica. È una speranza, quella espressa da Scruton, con un’analisi molto lucida: «magari fosse subito possibile, ma la fede cristiana si sta indebolendo e non viene riconosciuta in nessuno dei pronunciamenti ufficiali della classe dirigente europea. La visione del mondo dell’UE resta secolare e nega ogni dimensione di tipo spirituale». Come scrivono tutti gli intellettuali in un passaggio della Dichiarazione d’Europa, «L’Europa vera è stata segnata dal cristianesimo. L’impero spirituale universale della Chiesa ha portato l’unità culturale all’Europa, ma lo ha fatto senza un impero politico. Questo ha permesso che entro una cultura europea condivisa fiorissero lealtà civiche particolari. L’autonomia di ciò che chiamiamo società civile è dunque diventata una peculiarità della vita europea. Non è un caso che il declino della fede cristiana in Europa sia stato accompagnato da sforzi sempre maggiori per raggiugerne l’unità politica: ovvero l’impero monetario e regolatorio, ammantato dai sentimenti di universalismo pseudoreligioso, che l’Unione europea sta costruendo».



Un progetto culturale che fa fede ad una esperienza bimillenaria sociale, politica e soprattuto religiosa: «Solo riscoprendo la vera Europa sarà possibile sconfiggere un materialismo privo di obiettivi e incapace di motivare gli uomini e le donne a generare figli e a formare famiglie», spiega ancora il Manifesto “contro le superstizioni del progresso”. Addirittura qualche anno fa lo stesso Scruton, anglicano e conservatore inglese mai banale, arrivava a sostenere quando oggi si ritrova in quello stesso Manifesto: «Penso che tutte le Chiese europee debbano trasmettere il messaggio che, senza di loro, la l’Europa non esiste. Le nostre società sono creazioni cristiane, che dipendono su ogni singolo punto da una rivelazione che è stata mediata dalle Chiese e che ha assunto una dimensione sacramentale. Negare questo vuol dire eliminare ogni barriera rispetto a quell’entropia globale che minaccia anche l’Europa. Affermarlo, vuol dire iniziare a riscoprire le cose per cui dobbiamo lottare e che dobbiamo difendere dalla corruzione». Era il 2012 quando lo spiegava ad Avvenire, sono passati 5 anni e quelle parole sono quanto mai attuali e vere.