ATTENTATO LAS VEGAS. E’ cominciato il bla-bla-bla sulla follia dell’uomo solitario congiunta alla follia di massa delle straripanti armi da fuoco, e sulla fragilità e le contraddizioni dell’impero (anche se l’impero sta dissolvendosi). E va bene così; dopo tutto, sono queste le frasi che ci rassicurano su come (non) va il mondo, quando scorriamo il giornale al momento del caffè e del cornetto. Ma proviamo a fare un piccolo passo di lato, e guardare per un istante uno dei tanti angoli di quello sfaccettato oggetto che è ogni evento o cosa nel mondo. E già: di quale oggetto stiamo parlando?



Ah, il Nevada, Nevada come Sierra Nevada, Nevada come “nevicata”, Nevada il cui più grande e meglio conosciuto centro urbano è Las Vegas: las vegas ovvero “le pianure”, in questi Stati diciamo così Uniti in cui l’inglese, lingua imperiale qui e in tutto il mondo, si rivela a volte essere uno strato abbastanza sottile che copre lingue più antiche: come lo spagnolo, e sotto lo spagnolo le lingue dei nativi. Mojave, per esempio, che dà nome al deserto fra California e Nevada, una di quelle distese, come il deserto di Sonora più a sud, dove l’aridità diventa sublime e anche terribile (per le migrazioni disperate): sono i volti quasi-visibili di Dio nel Sud-Ovest americo-messicano.



Siamo arrivati (per via traversa) alla notoria “Striscia” tutt’altro che pura come neve (a meno che non si pensi alle strisce di “neve” che non è tanto difficile procurarsi a Las Vegas): lo Strip (soprannome di Las Vegas Boulevard) che inevitabilmente fa venire in mente anche lo strip tease — insomma, lo Strip della strage. Visto che certamente sta per cominciare il turismo stragistico (come se il turismo di Las Vegas non fosse già abbastanza pacchiano) che va a fotografare le tracce-ricordo del macello, qui si vorrebbe suggerire un modo molto economico, una tattica da studente o da osservatore vagabondo, per visitare Las Vegas.



Visitarla di carriera (più a lungo, non vale la pena) dopo ore e ore di viaggio in vecchia automobile, possibilmente intorno alle quattro del mattino. Così si è troppo stanchi per giocare seriamente d’azzardo e ci si limita a perdere qualche decina di dollari con le macchine a gettone — i cosiddetti “banditi-con-un-braccio-solo”, braccio che è poi la levetta che si abbassa sperando in una pioggia di monete — quando i ristoranti sono ormai chiusi, dunque ci si arrangia con un panino-e-birra.  Senza trascurare di dare un’occhiata ai luoghi più interessanti della città: le cappelline simil-cattoliche o simil-protestanti dove c’è sempre qualcuno pronto a celebrare un rapidissimo matrimonio nuovo, magari sulla base di documenti di divorzio confezionati alla svelta (è la vita che si stabilizza, a fianco dell’esistenza destabilizzante negli hotel e nei casinò). E infine ci si abbatte sul materasso in qualche motel di terz’ordine (ci sono anche quelli, all’ombra degli albergoni mostruosi), in compagnia o no: si è comunque troppo stanchi per qualunque alternativa al sonno, in preparazione delle lunghe ore di viaggio che cominceranno all’alba. E poi, è passato il tempo delle comitive pittoresche descritte da Jack Kerouac: in questi viaggi attraverso il paese, le coppie servono essenzialmente a condividere le ore di guida e le spese della benzina.

Vabbè, ma che c’entra tutto ciò con il massacro ancora fresco? C’entra perché, primo: è in questi angoli di vita americana (anche gli angoletti carini, come pare sia la casetta in campagna dove abitava lo sparatore) che emergono le idee più pazze, siano esse poetiche (come quelle del citato Kerouac, e di tanti altri sognatori o narratori americani) o violente. Secondo: queste e simili quotidianità chiariscono come, nell’Occidente contemporaneo (in Europa non meno che negli Stati Uniti), le stragi rientrino ormai da tempo nella strategia istintiva della popolazione: l’assorbimento delle perdite. Sostanzialmente: ci si rassegna ai massacri localizzati di civili da parte dei vari terroristi, fino a che la quantità delle vittime non diventi tale da sconvolgere profondamente il ritmo della vita individuale e il ritmo degli affari (commercio, turismo). E’ una situazione che si può descrivere con il topos del “bisogna continuare a vivere normalmente” (come prova della superiorità dell’Occidente liberale, e via bla-bla-blando), oppure come una forma di tragicità grigia contemporanea.

Lasciamo questa scelta agli opinionisti di professione; qui si è voluto soltanto descrivere quello che una volta si chiamava uno squarcio di realtà. Distinguere fra massacri piccoli e grandi, fra quantità accettabili e quantità non accettabili di morti: tutto ciò è orribile — ma reale; è lo squarcio da cui emerge una realtà dentro la realtà. Ciò che è orribile, infatti, non è tanto il fatto oggettivo della violenza quanto il fatto soggettivo (ma fatto anch’esso, e reale quanto l’altro) della non-reazione, della rassegnazione alla violenza. Come reagire a questa non-reazione? E’ presto per dirlo: ma si può cominciare guardando dritto in faccia questo aspetto terribile della nostra povera — veramente povera — umanità.