La notizia ieri è stata la più di tendenza su Internet. La cattura di Cesare Battisti, pluriomicida non più in attività, si spera, è stata accolta con sollievo. Stava fuggendo verso un nuovo comodo asilo. Il gioco stavolta gli è andato storto. Non era più un pericolo pubblico.
Ci chiediamo allora: perché questo fatto colpisce tanto anche chi al tempo della sua attività criminale non era ancora nato?
Battisti è stato condannato in Italia a quattro ergastoli, era uno dei leader di un gruppo terrorista, il Pac (Proletari armati per il comunismo). Si è dichiarato perseguitato politico, e questo gli è valso una sorta di asilo sereno in Francia, dov’è stato coccolato come membro della comunità intellettuale parigina, affermandosi come scrittore. Quando, dopo un quarto di secolo e più, Nicolas Sarkozy si stava preparando a consegnarlo alla giustizia italiana, si è involato in Brasile, dove il vecchio comunista Lula gli ha garantito lo status di profugo per ragioni politiche. Insomma: ha ucciso e non l’ha mai pagata. Nel momento in cui il nuovo governo del presidente Temer minacciava di estradarlo da noi, ha cercato la strada boliviana, da un presidente ex guerrigliero. Arrestato! Preso! Adesso poche storie, hanno detto le autorità italiane: datecelo.
Ma perché interessa tanto questo evento? C’è una ragione spiegabilissima: abbiamo bisogno di sapere che il male non la fa sempre franca. Che alla fine uccidere non è una attività che possa condurre a una bella vita di finti perseguitati.
La convivenza sociale si regge su questa certezza. Esiste un patto tra cittadini e Stato: io rinuncio all’uso della forza e a farmi giustizia da me, lasciando il monopolio allo Stato di questo esercizio. Se lo Stato non riesce in questo compito, e non ha sufficiente autorevolezza per convincere altri Stati ad assecondare l’esecuzione delle sentenze, crolla la fiducia, cresce l’insicurezza. Da qui il sollievo.
Battisti inoltre ci fa sentire migliori. Sembra raggruppare tutti i caratteri della persona per cui non si avverte alcun rimorso nell’augurargli di espiare duramente i suoi crimini che “gridano vendetta al cospetto di Dio”. Ha ucciso, è scappato, dimostra di non volersi assumere alcuna responsabilità.
Dunque ci dà la libertà morale di odiare. Da qui la voglia di sapere e di goderne.
Dico questo dal fondo della mia miseria di uomo. Così non va bene. L’odio per il male non può diventare odio per l’assassino catturato. Non esiste assassino che non possa essere perdonato.
Mi sto attorcigliando in pensieri troppo lussuosi? Tiro in ballo un discorso fatto dal Papa di recente e che a mio giudizio è stato equivocato. Ha detto che per i pedofili non può esserci spazio per la grazia. Non la darà mai. Come se ogni porta della Misericordia fosse sbarrata. Così hanno capito in tanti: a torto!
La stessa cosa vale io credo per un pluriomicida impunito e vile come Battisti. Dunque carcere. Nessuna grazia. Nessuno sconto. Il perdono è un’altra cosa. Riguarda Giuda. Riguarda Caino. Stare dalla parte di Abele, non significa rinunciare alla speranza che la misericordia non possa essere più forte del crimine più efferato. Vale per i pedofili. Vale per Battisti. Incarcerarlo e buttar via la chiave della cella. Senza buttar via un’altra chiave, invisibile.