Andrà in onda questa sera, su Rai Tre, la seconda parte della puntata di Un Giorno in Pretura dedicata al processo per la morte di Giuseppe Uva. Una storia allo stesso tempo tragica e controversa, che prende le mosse a Varese la notte del 13 giugno del 2008. Uva è per strada insieme all’amico Alberto Biggiogero: sono entrambi ubriachi e impegnati in atti di vandalismo. Quando alcuni residenti allertano i carabinieri stanno transennando una strada per puro divertimento. Sul posto, in via Dandolo, arriva la prima pattuglia: sono circa le 3 di notte del 14 giugno. Alberto Biggiogero, in seguito, come riporta Varesenews, riferirà di una frase rivolta all’amico pronunciata da uno dei carabinieri:”Proprio te Uva cercavo, adesso te la faccio pagare”. I due vengono trasportati in caserma, mentre la pattuglia chiede rinforzi per gestire la tensione nei due soggetti arrestati, soprattutto in Giuseppe. Una volta arrivati in caserma, i due amici vengono separati. Passano circa 10/15 minuti dall’arrivo nella stazione dei carabinieri che Alberto Biggiogero riesce a prendere il cellulare e chiama il 118. Dice di aver sentito delle grida e al centralinista del pronto soccorso spiega:”Stanno massacrando un ragazzo”. Questi, riagganciato con Biggiogero, chiama direttamente ai carabiniere per informarsi della veridicità della segnalazione. La risposta è la seguente:”Sono due ubriachi, ora gli togliamo il telefono”. Sono le 4 del mattino, sono passati circa 3 minuti dalla telefonata di Biggiogero al 118. Questa volta a comporre il numero del pronto soccorso sono i carabinieri: in caserma arriva una decina di minuti più tardi Augustine Desire Noubissie, della guardia medica. Il dottore prova inutilmente a calmare Giuseppe Uva e ritiene necessario il ricorso al Tso. Sono le 5:16: Giuseppe Uva arriva in ospedale 25 minuti dopo e qui gli vengono somministrati dei calmanti. Qualche ora più tardi, intorno alle 8, verrà trasferito nel reparto di pischiatria, dove morirà alle 10 circa.

IL CASO

La trasmissione Un giorno in pretura, torna ad accendere i riflettori sul controverso caso legato alla morte di Giuseppe Uva, con una nuova puntata dedicata alla seconda parte del processo. Il decesso dell’artigiano di Varese 43enne avvenne nel giugno 2008 e ad oggi le circostanze non sembrano ancora essere state del tutto chiarite. Un delicato processo si è svolto di fronte alla Corte d’Assise di Varese durante il quale due Carabinieri e sei Poliziotti erano imputati con l’accusa di omicidio preterintenzionale e sequestro di persona. Nell’aprile dello scorso anno, però, è giunta la loro assoluzione in Appello. Le motivazioni della Corte non sono bastate a convincere la famiglia Uva, da sempre in prima linea per far luce sull’intricata vicenda che, a quasi dieci anni, sembra essere ancora lontana dalla verità su quanto accaduto presso la caserma dei Carabinieri di Varese e poi presso l’Ospedale di Circolo della medesima città. Tutto ha inizio il 14 giugno 2008 quando Giuseppe Uva, insieme all’amico Alberto Biggiogero decisero di trascorrere una serata fuori per locali. Complice l’alcol, i due si resero protagonisti di alcuni atti vandalici, transennando per gioco una stradina in pieno centro a Varese. Dopo essere stati sorpresi da una pattuglia dei Carabinieri, furono entrambi condotti in caserma dove, secondo le testimonianze di Biggiogero, l’amico fu vittima di un brutale pestaggio da parte dei militari.

GIUSEPPE UVA, LA NOTTE IN CASERMA E LA MORTE IN OSPEDALE

L’incubo di Giuseppe Uva, secondo il racconto dell’amico riportato da Il Fatto Quotidiano, ebbe inizio proprio in caserma. Mentre Biggiogero si trovava da solo in una stanzetta, gli fu impossibile non udire le urla di Giuseppe, tanto da chiamare il 118. L’operatore però, messo in allarme da quella telefonata, chiamò a sua volta la caserma dei Carabinieri accertandosi dell’accaduto, ricevendo come risposta una secca smentita. “Sono due ubriachi, ora gli togliamo il telefono”, avrebbe asserito uno dei Carabinieri, come ricostruito da Varesenews. Solo pochi minuti più tardi furono gli stessi agenti a chiamare una guardia medica e successivamente un’ambulanza al fine di supportare il primo medico nel tentativo di calmare Uva. Tutti i sanitari negarono un pestaggio a carico dell’uomo, vistosamente agitato. Ne seguì il trasporto in ospedale, dove gli furono somministrati dei calmanti ed il trasferimento, alle 8:00 del mattino seguente, presso il reparto di psichiatria dove però morì due ore più tardi. La procura di Varese ipotizzò inizialmente un errore medico indagando su tre sanitari per aver somministrato dosi non corrette di farmaci ad un uomo con un tasso etilico decisamente alto. Dopo la riesumazione della salma e successiva perizia, i medici furono tutti assolti dal tribunale. Non fu così per due carabinieri e sei poliziotti presenti la notte del presunto pestaggio in caserma e che furono inizialmente tutti accusati di omicidio preterintenzionale e altri reati davanti al gup, prima dell’assoluzione di un anno e mezzo fa.

MOTIVAZIONI DI ASSOLUZIONE NON CONVINCENTI

Nell’ottobre dello scorso anno la procura generale di Milano ha impugnato in Appello la sentenza con cui la Corte d’Assise di Varese aveva assolto gli otto militari accusati della morte di Giuseppe Uva. Nella sentenza di assoluzione si leggeva della “insussistenza di atti diretti a percuotere o a ledere” da parte delle forze dell’ordine nei confronti del 43enne, ma il sostituto pg, come riporta Il Fatto Quotidiano, definì queste motivazioni “estremamente sommarie”. A sua detta, Uva fu sottoposto a stress mortale che avrebbe inciso notevolmente sul suo decesso provocato da una patologia cardiaca, situazione oltremodo peggiorata da una intossicazione etilica acuta e dai farmaci che gli furono somministrati dopo il suo fermo. Sotto accusa, sempre nel provvedimento dell’ottobre scorso a firma del sostituto pg Massimo Gallo finì ancora la Corte d’Assise di Varese per non aver tenuto conto di alcune testimonianze chiave come quella di Alberto Biggiogero, amico della vittima e da sempre ritenuto un teste “non attendibile” sebbene fosse anche l’unico. Le sue contraddizioni, secondo il pubblico ministero Daniela Borgonovo, insieme al suo essere un tossicodipendente, lo hanno sempre portato ad apparire fragile e controverso al tempo stesso. Quella sera di nove anni fa, inoltre, era anche lui ubriaco e, come poi confermato dalla stessa pm, durante il dibattimento ha dimostrato di non ricordare neppure il contenuto della denuncia “contenente fatti gravissimi” che aveva presentato.

IL TESTE CHIAVE ARRESTATO

Mentre la famiglia di Giuseppe Uva per quasi un decennio non si è arresa di fronte al desiderio forte di far prevalere la verità su quanto accaduto in caserma quella notte di inizio estate del 2008, siamo arrivati ai nostri giorni con un nuovo intricato tassello della vicenda. Alberto Biggiogero, unico testimone chiave di quello che fu definito un pestaggio drammatico, secondo la famiglia della vittima alla base del decesso di Giuseppe, lo scorso febbraio è stato arrestato. Dopo una violenta lite con il padre 78enne, l’uomo lo avrebbe ucciso con almeno cinque coltellate. Un omicidio inizialmente senza un movente chiaro e forse legato ai futili motivi. La notizia del suo arresto sconvolse non poco Lucia Uva, sorella di Giuseppe, che all’Huffpost aveva detto: “Non riesco a crederci in questo periodo Alberto era tranquillo, mi ha mandato un messaggio ieri invitandomi a teatro, al suo spettacolo, perché stava studiando recitazione. Alberto aveva smesso di bere e di assumere droghe”. Durante il processo Uva era emersa la sua personalità borderline e l’abuso di alcol e droga. Il 23 ottobre prossimo prenderà ufficialmente il via l’udienza preliminare a suo carico. Dopo la chiusura delle indagini la Procura aveva chiesto il giudizio immediato, mentre il suo difensore l’ammissione al rito abbreviato anticipando la richiesta della semi infermità mentale.