Un simbolo delle libertà giovanile: ma siamo sicuri, per davvero, che Ernesto Che Guevara, sia davvero stato quello che tanti anche oggi vanno ripetendo, magari sognando quel viaggio in motocicletta per l’America Latina? La verità come sempre non è per forza da una delle due “sponde”, ma proprio per questo motivo nascondere gli elementi “contraddittori” ed esaltare solo quelli “positivi” non ci sembra un grande esercizio di libertà. Per esempio, prima della rivoluzione, Cuba era un’isola felice della cultura: nel 1950 i cubani infatti contavano 1.700 scuole private e 22mila pubbliche, che le garantivano il più alto indice di scolarità nell’America Latina. Non solo, nel 95% delle abitazioni c’era una radio, attraverso cui ci si poteva sintonizzare su oltre 140 canali: il Paese contava ben sette case discografiche, alcune multinazionali, 600 cinema e 15mila juke box. Bene, tutto questo non significa certo che il regime di Batista non era tale, ma che non può solo passare l’idea che Che Guevara “liberò” per davvero i giovani. Anzi: come ricorda Louis A. Pérez nel suo saggio su Cuba e gli Stati Uniti, «si finiva in un campo di concentramento solo per il fatto di ascoltare rock ‘n roll a casa, oppure di indossare jeans o di utilizzare vocaboli anglosassoni. Iniziò la caccia nelle strade ai ragazzi “capelloni” e troppo “moderni”». Addirittura il direttore del Instituto de Radio y Televisión de Cuba, Silvio Rodriguez, fu portato alle dimissioni per aver citato i Beatles nei suoi insegnamenti. Cinema, radio, fu tutto ricondotto all’unica voce ufficiale del partito e fu proprio El Che a portare la dura repressione di quell’idea giovanile troppo simile agli States. Allora, si può ancora definirlo simbolo delle libertà giovanali o è il caso di distinguere dato che per Ernesto solo alcuni giovani avevano il diritto di essere “liberi”. Gli altri no, e molti marcirono nelle carceri de L’Havana per questo.



MARADONA E LA “STORIA” NON RACCONTATA PER INTERO

Oggi Diego Armando Maradona, forse il più grande calciatore di tutti i tempi, ha voluto ricordare quello he non ha mai nascosto essere il suo mito e punto di riferimento, per l’appunto Ernesto Che Guevara: non solo perché argentini tutti e due, per La Mano de Dios il Che rappresenta un vero simbolo di lotta e libertà sociale, un uomo da guardare e seguire e da tatuarsi in più parti del suo corpo che anni fa incantava l’Europa e il mondo con il Napoli e l’Argentina. Ecco il post apparso oggi sui suoi canali social, un misto di ricordo, omaggio e racconto di una verità… non intera. «Che Guevara, a 50 anni dalla tua morte, i tuoi occhi sono ancora più aperti che mai. Ci sono stati molti comandanti, ma mai uno come te. Mi chiedo, com’è possibile che a oggi non ne si siano stati rimpatriati i resti?», scrive El Diez prima di fare un ipotetico appello alla cultura in generale. «Vorrei che nelle scuole, ai ragazzi di 15 o 16 anni, si raccontasse la sua storia, e che loro possano trarre le proprie conclusioni. Ma la tengono nascosta, perché hanno paura di lui. Perché quelli che sono venuti dopo ci hanno dato m…, invece di cibo. E VILLE, invece di case. Possono biasimarmi, ma non mi interessa». Già, che però si possa raccontare tutta la storia, quella intera, e non solo quella che da 50 anni a questa parte di vuole far passare su un uomo che è stato tanto ed è stato troppo forse, un misto di contraddizioni che ognuno dovrebbe avere la libertà di osservare, guardare e giudicare. Ma con un contenuto ampio e più possibile esaustivo, non ridotto solo per segnalarne la gesta e le grandi battaglie per la libertà: fatevi un giretto qualche riga più sotto e capirete qualcosina di più rispetto a quello che oggi praticamente ovunque potrete leggere. 



CUBA, L’URSS E IL TRADIMENTO DI FIDEL CASTRO

A Cuba oggi si ricorda e celebra i 50 anni della morte  del Che ma in pochi, anzi forse nessuno per davvero a Cuba – almeno tra quelli non incarcerati – racconterà questa storia che anni fa Massimo Nava sul Corriere della Sera ebbe il coraggio di scrivere contro il “mito” mondiale dell’amicizia e complicità tra Fidel Castro e Ernesto Guevara. E la storia è addirittura raccontata in prima persona da Dariel Alarcón Ramírez, detto «Benigno», ex guerrigliero della rivoluzione cubana, vive dal 1996 a Parigi, inseguito da una condanna a morte e dall’accusa di aver tradito il regime per il quale ha combattuto con onore. Il soldato del Che ha raccontato quella che non in tanti hanno poi ripetuto alle cronache mondiali: in sostanza, Guevara fu tradito in Bolivia dallo stesso Fidel Castro, catturato per ordine dell’Urss che vede quel personaggio come scomodo all’interno del pur vasto globo comunista. «Cienfuegos e Guevara facevano ombra a Fidel. C’erano contrasti nel gruppo dirigente. Poi Cienfuegos morì, in un misterioso incidente. Ero con Guevara in Congo, quando Fidel rese pubblica una lettera in cui Guevara dichiarava di rinunciare ad ogni incarico e alla nazionalità cubana. Il Che prese a calci la radio e urlò: ecco dove porta il culto della personalità! Il comandante aveva scritto la lettera dopo il discorso di Algeri in cui aveva messo in guardia i Paesi africani dall’imperialismo sovietico. Credo che quel discorso fu la sua condanna a morte», scrive Massimo Nava sul racconto di “Benigno” nel 2009.  Non solo, «Scoprimmo che il partito comunista boliviano non ci sosteneva, probabilmente su istruzioni di Mosca. Il Che non era più lui. Sembrava disperato e depresso»: un complotto ordito da Mosca e con l’appoggio del caro lider maximo. Ma oggi, nel 2017, chi ancora lo scrive?



TUTTO QUELLO CHE NON VI HANNO DETTO SUL “CHE”

Ernesto Guevara detto “El Che”. Il medico-mito. Il rivoluzionario che liberò il Sud America. Il sogno di generazioni. Il logo sulle magliette. Il poeta. Il vero uomo del comunismo. Ok, la finiamo, scusate: oggi ricorrono i 50 anni del rivoluzionario argentino che fece scoppiare la Rivoluzione a Cuba e generò un movimento di “compagneros” che lo seguirono fino in Congo per provare a rovesciare le dittature latifondiste e i “potenti capitalisti”. Scusate di nuovo, vi avevamo detto che avremmo finito e invece ci siamo ricascati. Come tutti del resto. In che cosa direte voi? Beh, semplice: nell’ideologia. Perché la storia di questo uomo-sognatore è impregnata di ideologia. Ideologia iniziale, ideologia durante e dopo la deposizione di Batista e ideologia in giro per il mondo. Addirittura, ideologia dopo la sua morte con quell’effige che ancora oggi trovate ad ogni festa dell’Unità o presunta tale che attraversa i canali della sinistra “nostalgica”: dal viaggio in America Latina al Concertone del Primo Maggio. Non certo un percorso esaltante, ne sarebbe d’accordo lo stesso Che Guevara. Eppure questo è quello che si “è meritato” puntando tutto sull’immagine e cercando di far raccontare un’altra storia: oggi tutti (quasi tutti dai, ndr) richiamano ai 50 anni di morte di Ernesto Che Guevara come un sogno che è svanito, un “gabbiano ipotetico con l’ala spezzata” (se vi interessa, guardatevi Qualcuno era comunista di Giorgio Gaber, ndr).

Ma nessuno (o quasi) vi dirà che quest’uomo con un anelito di libertà tutto suo ha di fatto passato una vita di battaglie in cui la libertà era sostanzialmente dimenticata. Anzi, cancellata: per esempio, il Che ha ordinato centinaia di esecuzioni e tribunali politici per uccidere i nemici della Rivoluzione Cubana. Il New York Times ha stimato che nei primi due mesi della Rivoluzione cubana, ci sono state circa 528 esecuzioni capitali affidate al plotone d’esecuzione. Il libro nero sul comunismo menziona un totale di 14.000 esecuzioni entro la fine del 1960; lui per dire era uno che diceva, «abbiamo eseguito molte fucilazioni senza sapere se queste persone erano completamente colpevoli. A volte, la rivoluzione non può fermarsi per condurre le indagini». Una sorta di novello giacobino francese, amava ripetere che «Non abbiamo bisogno di una prova per l’esecuzione di un uomo. Abbiamo solo bisogno della prova che è necessario giustiziarlo». (Se volete farvi un’idea delle fonti di questi dichiarazioni, eccovi qui)

CHI ERA EL “CHE”

Non c’era libertà di parola, odiava i giornali e i giornalisti – quelli che oggi li tributano i racconti e le gesta più eroiche forse un controllino a quanto soleva ripetere Guevara sulla stampa potrebbero farselo – «Dobbiamo eliminare tutti i giornali; Non siamo in grado di fare una rivoluzione con una stampa libera». Era un medico argentino che col mito della liberazione dalle dittature sud americane – e su questo aveva pienamente ragione – compì un viaggio lungo la Latina rendendosi conto delle condizioni di estrema miseria in cui viveva la stragrande maggioranza delle popolazioni locali. L’anno di grazia fu il 1959 quando i rivoluzionari cubani insieme al Che riuscirono a rovesciare Batista e fondare un governo “democratico e socialista” – già, democratica come la Repubblica di Corea del Nord oggi, non siete d’accordo? – e di quel governo lui divenne il ministro dell’economia, con Fidel Castro lider maximo. «Al Che premeva soprattutto diffondere negli altri Paesi gli ideali della rivoluzione, tra i quali la riforma agraria, con la quale distribuire la terra a tutta la popolazione togliendola dalle mani di pochi latifondisti, e la nazionalizzazione di tutte le industrie», si legge oggi nelle varie cronache celebrative del Che.

Per questo lui se ne andò con i suoi compagneros in Congo e poi Bolivia, dove venne però catturato e fucilato dalle forze governative divenendo un martire della libertà. Già, la libertà. Ma di quale libertà stiamo parlando? Della liberazione? Anche, lui ha partecipato e invitato l’America Latina a ribellarsi giustamente contro le ideologie. Il problema è che l’ha fatto con un’altra ideologia. E la libertà è l’antitesi dell’ideologia, non un suo “suppellettile”. Su tutti, la sua ideologia ha compiuto il capolavoro dei capolavori promettendo a tutti la libertà con un “piccolo” prezzo da pagare: «Quello che affermiamo è che dobbiamo proseguire sulla via della liberazione, anche se questo costa milioni di vittime atomiche». Se questa è libertà per voi, allora viva il comunismo e via il grande Che Guevara. Se non lo è benvenuti nel mondo della verità. E non della menzogna.