Padre Arsenio, al secolo Giuseppe Migliavacca (1849-1909), sabato 7 ottobre è diventato beato nel duomo di Milano. Questa notizia mi riporta ad una struggente storia d’amore e quindi di dolore: quella di mia zia, la sorella di mia mamma, colpita parecchi anni fa da un ictus e accudita con grande amore dalle consorelle. Mia zia fa parte fin da giovane delle suore di Maria Consolatrice, l’istituto fondato da padre Arsenio, e la storia d’amore e di dolore è quella di mia zia con il suo fondatore e, in seconda battuta, quello delle suore con lui e con l’istituzione ecclesiastica. Perché padre Migliavacca era stato per quasi 18 anni gesuita ma poi, spinto alle dimissioni per salvare “l’onore dei figli di Ignazio”, divenne cappuccino e venne estromesso dalla guida dell’ordine da lui fondato mentre alle suore veniva chiesto di mettere padre Arsenio nel dimenticatoio. Il motivo furono le calunnie di cui fu oggetto il neo-beato e lo schierarsi dei suoi superiori non in sua difesa ma a sua condanna.
Mia zia lavorò per parecchi anni nella postulazione dell’ordine e lo faceva quasi di nascosto. Perché quando decise di dedicare le sue migliori energie per riabilitare la figura del fondatore, nella congregazione non era ancora giunto a compimento il processo di maturazione interno ed interiore che avrebbe portato alla riabilitazione e poi alla beatificazione del fondatore.
Mia zia si confidava con me, giovane prete e quindi “per diritto” nipote prediletto, per i suoi dolori. Parlava con una foga che a volte mi spaventava perché le sue parole accese si alternavano a momenti di silenzio che mi impressionavano, e nei quali io avrei dovuto indovinare una verità che non riuscivo neppure ad intravvedere.
Padre Arsenio, ancora gesuita, aveva deciso di proteggere l’incipiente ordine di mia zia che si dedicava ad opere di carità in favore della gioventù abbandonata. Dietro questo eufemismo si nascondono quelle periferie esistenziali di cui oggi parla tanto il Papa e che sono primaria preoccupazione di associazioni come quella di don Oreste Benzi (la “Papa Giovanni XXIII”) o Nuovi Orizzonti. Ma all’epoca eravamo alla fine dell’800 e i cattolici, soprattutto se preti, soprattutto se religiosi, soprattutto se gesuiti, non amavano che i loro nomi fossero intrecciati a storie con le prostitute. “Le calunnie crescevano e una mattina a colazione — mi raccontava la zia — padre Migliavacca si trovò sotto la tazza un bigliettino, anonimo, in cui qualcuno gli suggeriva di dimettersi dall’ordine dei gesuiti per salvaguardarne la buona fama”. Va da sé che padre Migliavacca obbedì al comando “anonimo”, chiese asilo ai Cappuccini e le suore vennero affidate a vescovi e preti che fecero di tutto per far dimenticare quell’origine infausta. Ricorderò sempre il tono e il volto di mia zia. Nel parlatorio del convento, prima parlava con impeto quasi gridando e poi abbassava la voce, si azzittiva, si guardava attorno spaventata di non riuscire a trattenere l’ira per l’ingiustizia mostrando così quanto dolore causano certe ferite profondissime. C’era ancora tutto da fare, e all’epoca non esisteva neppure l’immaginetta del futuro beato. Ridare dignità a Padre Arsenio significava mettere in luce gli errori dei gesuiti e, visto il loro potere, era stato fino a quel momento impossibile. Ma mia zia sperava. E con lei alcune consorelle. Perché era diventato vescovo di Milano un certo Carlo Maria Martini, un gesuita che sembrava tenere più alla verità che al perbenismo. Provarono, e la cosa andò bene: Martini era proprio come sembrava. Non ricordo esattamente quale fu il ruolo della zia e credo che nessuno lo conoscesse perché compiva un lavoro oscuro, da archivista o poco più. Ma lei, come tante sue consorelle, era innamorata del fondatore e voleva ridare dignità a un padre a cui l’ingiustizia ecclesiastica aveva tolto le figlie spirituali, e voleva ridare un padre a delle figlie rese orfane dall’arroganza di un’epoca. Padre Arsenio, così, ex-gesuita, è stato riabilitato grazie al via libero di un gesuita, Carlo Maria Martini, e alla firma di un Papa, anch’egli gesuita. Un bel modo — un modo divino — per rendere evidente il coraggio attuale dei gesuiti. Un ordine che, almeno in questo caso, ha saputo ammettere i propri errori e ha saputo rimediare.