TRA MASCHERE E PERVERSIONI
Si confessa. Forse per la prima volta, e non davanti ad un prete, ma di preti parla, eccome, come della sua (non) fede in Dio e dei suoi 70 anni di mirabolanti follie (e storture): è Antonio Ricci, papà di Striscia la Notizia e di metà dei format più fortunati della gloriosa storia di Mediaset nel panorama televisivo italiano. In una intervista lunga e interminabile come la sua carriera, il buon papà del Gabibbo ne ha per tutti, a cominciare da.. lui stesso. «Il mio compito è destrutturare, irridere, dare tinta all’eterno grigio di chi si prende troppo sul serio. Prendere o essere presi per il cu…o è sempre meglio di essere presi per il collo», spiega divertito Ricci a Vanity Fair. Poi si fa cupo, «Ho incontrato persone che soffrivano nell’indossare la loro stessa maschera. Chi è chiamato a esibirsi deve travestirsi e chi va in tv si vende. Si prostituisce. La tv è un’enorme vetrina a luci rosse in cui tutti smerciano qualcosa e non c’è chi non si acconci per essere comprato». La sua “vera” perversione, oltre ad una certa buona dose di populismo che si respira lontano un miglio nelle puntate di Striscia la Notizia, la confessa e spiattella nell’intervista: «provo piacere e sprofondo in abissi di voluttà a fare quel che faccio. Pagherei io. Non ho esclusive, non vado in tv e non mi drogo, che è un po’ la stessa cosa».
LA SCUOLA E LA TV
Secondo Ricci, accusato da tempo di aver contribuito all’istupidimento della gente in tv, la verità è ovviamente leggermente più complessa: «gli italiani sono sempre gli stessi. Autoindulgenti con se stessi, pecoroni alla bisogna, pronti, anzi prontissimi a dare agli altri la colpa dei propri fallimenti. Ogni tanto sento dire: “Siamo così perché c’è stato il ’68” o peggio: “È tutta colpa della tv”. Ma quando mai?», sbotta Ricci che si diverte come un matto a provocare e ritirare la mano. «Non è la tv che crea i deficienti di oggi, è la scuola che alleva quelli di domani», recita una delle sue “massime” preferite in cui rimette al centro il problema educativo alla base della società, e non la tv. Il vortice resta comunque complicato, al netto di quanto dica Ricci: se infatti la tv è prodotto della società, in un meccanismo semi-perverso è anche complice e fomentatrice della stessa stupidità e ignoranza di cui è vittima. Al netto di tutto però, non si può certo dare la colpa di tutto al “povero” Ricci, e lui lo sa bene: «Manipolo per migliorare il prossimo. Ribalto l’osceno postulato del colpire uno per educarne cento e mi rifaccio alle tavole di Striscia, punto 44: Rovesciare l’utopia pedagogica delle Brigate Rosse, bisogna colpirne cento per educarne, forse, uno. Il precetto è ancora valido», spiega a Vanity Fair l’istrionico e coltissimo Antonio.
A COSA CREDE ANTONIO RICCI?
Dal punto di vista televisivo ha ben poca pregnanza, ma come spunto per capire il personaggio ci sembra perfetto quando sempre nell’intervista rivela ad esempio quale tipologia di persona non riesce a sopportare: «Ho una sincera ripugnanza per chi dice di un altro: “È una bella persona”. Ma quale autorità assoluta, quale guida morale devi sentirti per giudicare un altro? Da che vette ti esprimi, esattamente?». A chi gli fa notare che anche lui non scherza come deliri di onnipotenza, lui risponde serafico, molto ligure com’è: «Io sono consapevole che a rischio della mia vita vado a toccare le mele, ma non sono così stupido da non sapere che se non marciscono, possono diventare meloni. È il mio rischio d’impresa, ho affrontato più di 300 cause in tribunale senza essere mai condannato». Un iconoclasta, certo, ma anche uno che nella sua “follia” egoistica ha in qualche modo non rattrappito il senso religioso dell’eterno e del finito; «Non credo in Dio ma a certi preti sì, sicuramente non credo a me stesso», e spiega che lui si stente teoricamente morto da anni, «Sono certo di essere morto già da tempo, ma quando lo teorizzo non mi credono. Comunque un patto domani con l’Altissimo sono anche pronto a farlo…». Un genio che non cerca redenzione ma che sa bene, allo stesso tempo, che da solo non può nulla e naviga nell’incertezza di un domani troppo lontano per fargli paura, ma anche un presente troppo “presente” per poterci capire qualcosa. Avrebbe bisogno forse di qualche prete in più e qualche “ego” in meno, ma non sarebbe Antonio Ricci. Ma un domani chissà…