Scomparso a Roma lo scorso 6 maggio 2013, Giulio Andreotti è stato tra i principali esponenti della Democrazia Cristiana, partito protagonista della vita politica italiana nella seconda metà del XX secolo. Sette volte presidente del Consiglio e senatore a vita dal 1991, Andreotti è stato coinvolti in numerose pagine oscure della storia recente italiana: subì un processo per concorso esterno in associazione mafiosa, da cui venne assolto da tutte le accuse ascrittegli, con un distinguo tra gli eventi successivi al 1980 (assolto perché il fatto non sussiste) e precedenti a tale data (assolto per prescrizione dei reati). In ogni caso questa distinzione, secondo quanto precisa il nipote Paolo Ravaglioli, è frutto di una tecnicalità in quanto sui fatti antecedenti al 1980 la Cassazione aveva limitati poteri di controllo proprio perché coperto dalla prescrizione – i giudici di legittimità, valutando la motivazione della Corte d’Appello, non solo hanno sentito il dovere di precisare che la ricostruzione e la valutazione operata dei singoli episodi «è stata effettuata in base ad apprezzamenti e interpretazioni che possono anche non essere condivise», ma hanno addirittura aggiunto che agli apprezzamenti e alle interpretazioni della Corte d’Appello «sono contrapponibili altre dotate di uguale forza logica». Tanti i motivi di interesse storici e politici che circondano la figura di Andreotti, con i figli Stefano e Serena ospiti a Corriere Live oggi per parlare di vari argomenti, a partire da Il buono cattivo, il libro postumo ritrovato dai due. Dalle carte su Moro al carteggio con Cossiga, sino alle rivelazioni inedite su chi voleva incastrarlo: un archivio immenso, comprensivo di 3500 faldoni, di documenti, scritti, carteggi che la famiglia ha deciso di donare all’archivio Sturzo nel 2007.



IL CASO MORO E LA CONGIURA

Giulio Andreotti ha scritto diverse lettere post-mortem, di cui Stefano Andreotti ha parlato a Corriere Live: “Nella lettera che ci aveva lasciato dopo il rapimento di Moro, lui diceva che, qualsiasi cosa gli sarebbe accaduto, noi non avremmo dovuto serbare rancore per chi gli aveva fatto del male, e perdonare, anche se fossero state le Brigate Rosse”. Proprio il periodo delle Brigate Rosse è stato il più difficile per lo statista, come rivela Serena Andreotti: “E’ stato un dolore per papà, un dolore profondo di non poter scegliere un’altra strada”. Una vicenda che lo vide anche coinvolto, ecco il commento del figlio: “Ha sempre detto che dovevamo pensare alla fine che avevano fatto gli uomini della scorta, e non sembrava onesto trattare con chi li aveva uccisi. Dopo il primo avviso di garanzia, papà per mesi è stato male, e mia mamma ha preso una depressione fortissima, piangeva tutto il giorno, per anni”. Caso Moro, ma non solo: “Poi c’è stata la condanna in secondo grado per l’omicidio Pecorelli”. Una vicenda creata ad arte per incastrarlo, come sottolineato dai due figli: “Qualcuno lo avvisò che gli stavano preparando il pacco, che volevano incastrarlo”.



CARTEGGIO CON COSSIGA E IL DIVO

Tanti i temi trattati da Stefano e Serena Andreotti a Corriere Live, a partire dal carteggio con Cossiga: “Spesso veniva a far visita, si vedevano spesso, anche se hanno avuto momenti difficili: nel 2018 dovrebbe uscire il carteggio tra Andreotti e Cossiga”. Ma Serena spiega: “Ma è un carteggio che risale a quando Cossiga era presidente della Repubblica, nella parte Moro ci sono documenti di Cossiga, senz’altro, ma da quelle carte non traspare una fermezza maggiore nell’uno o nell’altro, emerge solo la stanchezza della ricerca”. Giulio Andreotti è stato tra i più importanti politici della storia italiana e, per questo, il regista Paolo Sorrentino ha fatto un film su di lui, Il Divo. Ecco il duro commento di Serena Andreotti sull’opera del regista napoletano: “Lo considerò una mascalzonata”. Questa, invece, l’analisi di Stefano: “Ci sono due aspetti, uno privato e un altro pubblico: quello rappresentato non è mio padre perché viene rappresentato come una persona dura, cinica, e invece lui era dolcissimo, dal cuore d’oro. L’aspetto pubblico è una questione di come si vuol far vedere la figura di mio padre”.