In morte di un… gatto. So di andare “leggermente” controcorrente nel mondo più pet friendly che sia mai esistito nella storia, quello di oggi: però di fronte ai discorsi funerari-strappa lacrime dei personaggi famosi (gli ultimi, J-Ax e il suo gatto, Elisabetta Canalis e il suo cane) e dei loro amici animali, c’è qualcosa che non capisco. Anzi, c’è molto che capisco e che trovo drammatico e triste, non solo per il consueto “specchio dei tempi, bla bla”: non siamo nell’ordine di idee per cui bisogna mettere l’ennesima contrapposizione tra animalisti e contrari, tra pet friendly e altro. No, il punto ci sembra un altro. Può un animale avere senso, valore e affetto più di tutte le persone incontrate nelle propria vita? Per J-Ax pare di sì a vedere la sua recente “ode a Little”, il gattino morto dopo una grave malattia; ma proviamo ad andare un attimo oltre. Proviamo a dar credito al cantante rapper quando dice «mi ha salvato la vita e c’era quando tutti mi hanno abbandonato»; ok, il gatto è importante, ma che valore si può dare allora al rapporto con una persona? E perché si può dire essere abbandonati o amati? Un gatto, o un cagnolino, può ridare e colmare quell’esigenza infinita di amore che ogni persona necessita? «Ciao Little, forse non te l’ho mai detto, ma mi hai salvato la vita. […] ogni difficoltà iniziale è insignificante rispetto a tutto quello che hai fatto per me negli anni. Sei sempre stato al mio fianco. Non importa ciò che mi capitava durante il giorno, se tornavo a casa da vincitore o da sconfitto — tu eri lì. Eri sempre lì. A darmi conforto quando mi sentivo perso. A festeggiare insieme a me quando ero felice», si legge nella bacheca Facebook del cantante ormai in pieno successo-simbiosi con il più giovane Fedez.



L’ANIMALE È PIÙ DI UNA PERSONA

ùL’ex Articolo 31 pone un’ode al suo animaletto che ora non c’è più, morto dopo 15 anni di vita e che, a quanto si legge dalle parole del cantante, ha lasciato un vuoto incolmabile. Non solo: «Eri con me anche quando tutti mi hanno abbandonato. Quando ero “troppo vecchio”. Quando ero finito. Quando gli amici hanno smesso di chiamare. C’eri anche quando pensavo che l’unico modo per dimenticare, per anestetizzare il dolore, fosse l’alcool. Mi hai aiutato a smettere. Senza di te, oggi, non sarei qui». È difficile commentare visto che da un lato chi siamo noi per capire e giudicare fino in fondo il dolore di una persona, anche se vip; dall’altro vi è un che di profondamente drammatico se realmente l’unica vera fonte di “amore” nelle difficoltà J-Ax l’ha recepito e ricevuto da un gatto. «Alcuni mi hanno detto che non sei una persona, ma “solo un gatto”. Hanno ragione, sei solo un gatto. Infatti nessuna persona mi ha mai dato quello che ho avuto da te. Perché così sono i gatti. E so che ti saresti preso cura di me come io ho fatto on te. Lo so, perché lo hai già fatto. E ora che hai perso la battaglia mi manchi ogni giorno». Un fondo di dolore e un fondo enorme di solitudine se ripetiamo deve essere un animale a doversi prendere cura (compagnia e vicinanza) di una persona. Qualche tempo fa Papa Francesco davanti ad un gruppo di animalisti cristiani ha provato a sostenere qualcosa di poco “pol.corr.”, pur rispettando e chiedendo di amare per tutto il creato divino, animali inclusi: «Amare gli animali è come programmare l’amore: io posso programmare la risposta amorevole di un cane o di una gattina e non necessito di alcuna esperienza di amore di reciprocità umana. Sto esagerando, non prendetemi alla lettera, però c’è da preoccuparsi». Scambio, dono, reciprocità e amore: siamo così sicuri che amare gli animali significhi concedere loro lo status di “soggetti d’amore”?



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