Il discorso del Santo Padre al Meeting regionale europeo della World Medical Association sulle questioni del cosiddetto “fine-vita” tenutosi ieri a Roma è un forte richiamo alla responsabilità personale del curante. Rimette al centro della cura il rapporto medico-paziente così tanto messo in discussione dalla medicina burocratizzata e aziendalizzata, rapporto che si trova strattonato ora dal lato di un intestardirsi con le cure quando non servono, o ancor più frequentemente dal lato di un abbandono del paziente che non è solo l’abbandono in fine-vita ma un abbandono morale troppo spesso riscontrato. Il papa richiama ad un concetto antico, da lui espresso in termini dinamici con l’espressione “la vicinanza responsabile”. “L’angoscia della condizione che ci porta sulla soglia del limite umano supremo, e le scelte difficili che occorre assumere, ci espongono alla tentazione di sottrarci alla relazione. Ma questo è il luogo in cui ci vengono chiesti amore e vicinanza, più di ogni altra cosa, riconoscendo il limite che tutti ci accumuna e proprio lì rendendoci solidali”.



Questo, si capisce bene, non riguarda solo un atto della vita, ma tutta la vita stessa e tutta la condizione del rapporto medico-malato. Per questo sarebbe puerile ridurre il discorso del Papa ad un’indicazione sul fine-vita, che pure c’è, ed è chiara e semplice: prendersi sempre cura, non abbandonare nessuno in particolare nel momento delle decisioni gravi, non avventurarsi in percorsi curativi futili. Ma porta ad estendere questa osservazione a tutta la sanità e a domandarsi se ormai “quello che facciamo” lascia in secondo piano “come lo facciamo”. Cioè se invece di “essere vicini” lasciamo scattare automatismo, protocolli, routine. 



La “vicinanza responsabile” viene chiamata dalla medicina in altri modi, ma con lo stesso spirito: viene chiamata “approccio gestaltico” oppure “medicina olistica” e abbraccia non solo l’approccio del medico alle cure palliative, ma lo sguardo del curante sul curato che non si limita a quanto gli è stato assegnato, alla parte del corpo malata, al particolare, ma si alza sul quadro generale, prendendo in carico i bisogni oltre che la malattia, il sociale oltre che il sanitario. E sa insistere quando anche è difficile o rischioso farlo, così come sa far capire quando si è entrati in un cammino inutile. E’ duro, ma è il famoso “miglio in più” che i codici di deontologia medica non contemplano, ma che era ben chiaro nella medicina ippocratica, nella scuola salernitana, e nei grandi esempi di medici e infermieri che illuminano la via della medicina mondiale. 



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