TOTO’ RIINA E’ MORTO. Si può affidare alla Misericordia di Dio un assassino conclamato e spietato? Uno che non ha mai accennato neppure un istante a chiedere perdono alle sue innumerevoli vittime? Tale è, o era, Salvatore Riina. Be’, io lo faccio, e sono convinto che i cadaveri che ha sul groppo non siano carne morta, ma appartengano ad anime che anch’esse affidano il loro carnefice al Dio giudice misericordioso.



Ho conosciuto Totò Riina il 15 agosto del 2009, durante una visita ispettiva nel carcere di Opera, dove stava in una specie di bunker, era in canottiera e ascoltava l’Ave Maria di Schubert. Si presentò calcando le parole: io sono Salvatore Riina. Lo rividi anni dopo e sostenne che mai avrebbe parlato, così da passare nei libri di storia come uno che conservava in sé i misteri di Cosa nostra, noi molto di più: della storia d’Italia. Poveretto, pensava di salvare la propria memoria così. Certo sarà famoso ma col marchio di Caino.



Lui ha voluto questo destino. Ma la giustizia e l’opinione pubblica italiana non sono tanto sicuro abbiano mani pure e mente retta. Si sapeva da alcuni mesi che era una larva. Non una larva e basta. Ma un uomo ridotto a larva, senza alcuna possibilità di scamparla, senza nessuna lucidità o forza mentale per impartire ordini. I giudici, d’accordo con la maggioranza dei politici e degli intellettuali, hanno deciso comunque che non meritava di morire a casa. Concordo: non lo meritava. Ma i diritti umani non si meritano. Si riconoscono. Non esiste qualcosa di più alto e di più giusto del rispetto della dignità umana di un assassino. 



Lo ha detto Francesco, condannando la pena di morte e la tortura. Eliminando dal codice in vigore nella Città del Vaticano l’ergastolo. Un’utopista? Un’apripista di una civiltà cristiana che regge alle sfide di questo tempo cattivo.