I grandi della terra e i policy maker che si sono riuniti a Bonn per la 23esima Conferenza sui cambiamenti climatici avrebbero potuto semplicemente leggere e rileggere il breve messaggio che Papa Francesco ha inviato loro per definire non solo una strategia ma anche linee guida, regole e meccanismi istituzionali affinché l’Accordo sul clima siglato a Parigi nel 2015 divenga “realmente efficace e in grado di contribuire al conseguimento degli obiettivi complessi che si propone”.



Visitando i padiglioni di COP23 e partecipando agli infiniti dibattiti organizzati da stati, agenzie internazionali, organizzazioni della società civile e perfino imprese, si restava colpiti da un enorme carrozzone stracolmo di enti che spesso si sovrapponevano, rischiando di polverizzare gli interventi invece di unire gli sforzi agendo come un unico soggetto. C’erano i pasdaran delle varie soluzioni tecniche monodimensionali quali l’energia eolica, quella solare, il biogas, i veicoli a emissioni zero. Ci si imbatteva in slogan vetero-ambientalistici del tipo “tutti a piedi, basta auto!” o in quelli modernisti alla “nutriamoci con i vermi: la nuova normalità”, drastica risposta al problema delle ingenti emissioni di CO2 collegate all’allevamento di suini, bovini e ovini…



In questo senso, la paginetta di Francesco si è rivelata geniale e ispirata dall’esperienza “sul campo”. Ha scritto il Papa: “Molti sforzi per cercare soluzioni concrete alla crisi ambientale sono spesso frustrati [per vari motivi che] vanno dalla negazione del problema all’indifferenza, alla rassegnazione comoda, o alla fiducia cieca nelle soluzioni tecniche”.

Il riferimento ai prime due “atteggiamenti perversi” — come Francesco li definisce in un altro passaggio — è comprensibile ed era prevedibile. Non importa qui stabilire a chi siano diretti questi richiami, probabilmente a nessuno proprio perché di valore assoluto anche se certa stampa si è affrettata a ridurli all’ennesimo rimprovero nei confronti dell’amministrazione Trump che si è ritirata dagli impegni contratti da Obama nell’ambito del citato accordo di Parigi. 



Quello che importa è sottolineare come negazionismo e indifferenza compromettano gli sforzi di parte della comunità mondiale. Se è vero che ci sono ricercatori che non riconoscono il rapporto causa-effetto tra comportamenti umani e cambiamenti climatici, riscaldamento globale e buco nell’ozono, è però universalmente riconosciuto che la semplice progressione demografica e la crescente urbanizzazione porteranno matematicamente all’esaurimento delle attuali fonti energetiche fossili. Altre conseguenze sono necessariamente già in corso: sfruttamento intensivo della terra, disboscamento, sovraffollamento insostenibile. Senza considerare poi che quasi 3 miliardi di persone nel mondo cucinano ancora con legna e carbone le cui emissioni nocive costituiscono la terza causa di morte in molti paesi dell’Africa subsahariana: l’Agenzia mondiale della sanità stima in più di 2 milioni all’anno i morti per intossicazioni domestiche!

La vastità e complessità del problema rende comprensibile anche il terzo richiamo del Papa che ha invitato tutti a non rinunciare ad agire per mancanza di fiducia, per la paura di non riuscire a trovare soluzioni adeguate o per deresponsabilizzante convinzione che “tanto non possiamo farci nulla”. Ma è con il quarto sorprendente richiamo che la lettera proveniente dal Vaticano è intervenuta con lungimiranza e pragmatismo fin nelle strategie operative della Conferenza di Bonn. Francesco mette in guardia non solo dall’affidarsi a soluzioni tecniche monodimensionali, ma suggerisce un metodo per prevenire e mitigare le conseguenze connesse ai cambiamenti climatici. Un metodo che non può non partire dalla constatazione di come la questione sia complessa, multidimensionale e interconnessa per cui “è essenziale e doveroso tenere attentamente in considerazione anche gli aspetti e gli impatti etici e sociali del nuovo paradigma di sviluppo e di progresso nel breve, medio e lungo periodo”.

Insomma, quello che il Papa propone è un approccio integrato per risolvere il problema dei cambiamenti climatici “e contestualmente combattere la povertà e promuovere un vero sviluppo umano integrale”. Dove quest’ultimo aggettivo si aggiunge, per completarlo, al concetto di “sviluppo umano” tanto caro alle Nazioni Unite e a tanti esperti del settore cui pare non sia del tutto chiaro che se non è “integrale” lo sviluppo non è nemmeno “umano”. Basterebbe leggere una delle encicliche sociali della Chiesa per capirlo: la prima è del 1891!

Sarebbe bello capire chi tra le nazioni e istituzioni paladine di questa conferenza presterà più attenzione ai suggerimenti del Santo Padre. Gli Usa assenti, le presenze più rumorose a COP23 sono state quelle dell’immancabile Unione Europea, della Germania padrona di casa, di Indonesia, Francia, Regno Unito, India, Russia, Sud Africa. Una menzione particolare la meritano i paesi nordici, da sempre leader e innovatori in questi settori e intelligentemente uniti in un’unica istituzione, la Cooperazione nordica. E la grande Cina che finalmente — e forzatamente, visti i suoi livelli ormai intollerabili di inquinamento — ha scoperto i temi ambientali. I cinesi, ultimi arrivati, diventeranno molto presto i numeri uno anche nelle energie rinnovabili e nella riduzione delle emissioni nocive. Purtroppo questa rivoluzione verde la stanno realizzando e la realizzeranno a casa loro, poiché non pare sia all’ordine del giorno la revisione della loro politica di selvaggio disboscamento dell’Africa o di diffusione soprattutto nei paesi in via di sviluppo di manufatti realizzati con materiali scadenti quando non tossici.

Ma Papa Francesco regala una linea guida anche in termini di equilibri politici ed economici rispetto alla “urgenza climatica che richiede maggiore impegno da parte dei Paesi, alcuni dei quali dovranno cercare di assumere il ruolo di guida di tale transizione, avendo ben a cuore le necessità delle popolazioni più vulnerabili”. La domanda sorge spontanea: non basterebbe che i grandi della terra sottoscrivessero la lettera di Francesco?