C’è un video in India che sta spopolando sui social tra ironie, critiche e feroci scontri all’interno della religione Indù, “protagonista” suo malgrado della assurda vicenda: come si può vedere dalle immagini qui sotto, ci sono diversi fedeli indù che fuori da un tempio nello stato indiano del Bihar (durante il festival Chhath Puja dedicato al dio del Sole) applicano la tradizionale polvere rossa vermiglio all’interno di una statua a forma di canguro, la cospargono di acqua santa e molte donne si fermano in adorazione lì davanti prima di entrare nel tempio. Ecco, peccato che quel Dio-Canguro sia in realtà un finto animale e fin qui ci erano arrivati tutti, anche loro: poi però avranno pensato chissà come si trovavano di fronte ad una statua così sporca, con olezzo maleodorante che proveniva immaginiamo dal di dentro dell’animale. Il motivo? Eh sì, lo avete capito, si trattava di un cestino della spazzatura: nulla meno, ma soprattutto nulla più! L’incredibile errore ha colto in fallo numerosi fedeli che dentro e fuori dal tempio vi passavano e vedevano l’adorazione delle donne indù davanti e si fermavano anche loro intenti a dare cura e dedizione al quel nuovo idolo dedicato al canguro. Per carità, tutti siamo passibili di errori nella vita, chissà quante volte abbiamo scambiato in una galleria d’arte moderna un estintore per un clamoroso nuovo modello di arte contemporanea, come Aldo Giovanni e Giacomo hanno meravigliosamente ironizzato nell’iconica scenetta nella Galleria d’Arte durante “Ammutta Mudica”.
LE INTERPRETAZIONI E LA LIBERTÀ “RISCHIOSA”
Qui però la questione ci sembra ben diversa: l’errore degli ingenui fedeli indiani nasce dal fatto che di idoli, statue, divinità e simboli ne sono pieni fino all’esaurimento. In tanti in India su internet hanno fatto commenti più disparati, dall’ironia, alla tristezza fino all’ammirazione per l’innocente ingenuità di quelle donne dedite al dio-cestino (scusate l’ironia). Il problema di fondo, ci sembra, è che l’Induismo non è una fede organizzata, non esiste una Chiesa con gerarchia sacerdotale. Né prescrive un rigoroso codice ed elaborato diritto come nel Giudaismo o nell’Islam: idoli e nuove divinità possono essere venerate con riti diversi, tutto giocato sulla libertà personale e l’apertura verso il grande “sentore interiore” di fronte al Sacro. Lodevole certamente, ma come spesso accade quanto l’estrema libertà non viene accompagnata da un maestro che indica una strada (la quale, quella sì, può essere scelta liberamente), il risultato rischia di essere quello buffo ma anche triste della spazzatura assunta a divinità. «L’effetto di tale apertura radicale è, purtoppo, la confusione: se da una parte viene valorizzata l’esperienza personale, dall’altra sono stati esplorati – ed accettati – percorsi diametralmente opposti e, in alcuni casi, in contrasto tra di loro: l’ascetismo e il materialismo, intossicazione e sobrietà, sensualità e il celibato. Il laissez faire spirituale dell’Induismo comporta una mancanza per il controllo della “qualità” della fede e delle persone da considerarsi “esperte”. L’Induismo inoltre non si preoccupa d’allontanare la superstizione, l’idolatria e l’eresia», spiega uno studio di Reason.com sula religione induista. L’idolatria non viene allontanata, anzi, viene assunta come inclinazione personale atta all’incontro con l’illuminazione “interiore”. Della serie, non essendoci una via certa, tutte le vie sono buone, libere ed eguali: ma in questo modo come può crescere la fede e l’educazione personale al sacro, senza nessuno che lo insegni e lo testimoni? Uscendo un attimo dal seminato, sarebbe un po’ come dire che un bambino piccolo dato al mondo da poco non venisse coccolato, guardato, amato e sostenuto da mamma e papà: man mano che cresce, come fa a (ri)conoscere la propria madre e il proprio padre e non scambiare il primo che passa per il proprio genitore?
https://twitter.com/Sassy_Soul_/status/924223258789949440/video/1