E’ gustosa l’intervista a Piero Angela che Il Messaggero propone per onorare i suoi 89 anni. Stupisce vedere tanta passione e curiosità in un uomo così anziano, così indomito per un lavoro che è anzitutto gusto, trasmissione di conoscenza, divertimento, voglia di domande, come un bambino, che non a caso mosse i suoi primi passi divorando la sezione “I  miei perché” nell’Enciclopedia dei ragazzi. Magari avercela, questa voglia di sapere, questa non indifferenza alle domande, anche quelle fondamentali del vivere. Perché un conto è domandarsi il perché delle galassie, o della riproduzione dei cavallucci marini. Che sono mondo, quindi ci riguardano, ma altro conto, e ci riguarda ben di più, è chiedersi il perché del dolore, il significato del vivere, la morte, il prima e il dopo. A queste domande Piero Angela non risponde, non ha mai risposto. Come uomo di scienza, non può esprimersi riguardo a Dio, dice. 



Eppure, questa posizione predeterminata sa un po’ di fuga, di strategia. Galileo si è espresso, Einstein pure, solo per fare esempi eclatanti. Il problema di Dio ci interessa eccome, non toccarlo significa solo spostare lo sguardo, distrarsi. E anche sostenere che la scienza e la fede non possono avere punti in comune, è un atteggiamento pregiudiziale, smentito da illustri uomini di scienza, Joseph Ratzinger per dirne uno. A meno di non voler sempre e ancora separare il sapere in scienze umanistiche e altre scienze, con una divisione che ha fatto danni indicibili all’antropologia e alla conoscenza, per secoli. 

Quindi, non ci credo che Angela non si ponga il problema di Dio. Semplicemente non sa come porselo, e ha troppi schemi per osare scardinarli. Quando tanti vecchi hanno aperto l’orizzonte sul mistero proprio in età tarda, quando più urgenti sono le domande sull’eternità. Il mistero, sostiene, è ciò che ancora non abbiamo conosciuto. Dipende con che accezione si intende la parola mistero: non tutto si può misurare e inglobare nella nostra ragione, e la ragione è più larga di quanto non vogliamo ammettere. Può benissimo farsi accompagnare dalla fede, per  andare a fondo e sublimare la conoscenza. Non sono mondi incompatibili, se non li si vuole testardamente considerarli tali. 

Un grand’uomo, che ha avuto in dono tanti talenti, e li ha saputi coltivare con eleganza e acutezza, che ha saputo metterli a disposizione di tutti, con arte, che ha avuto il privilegio di frequentazioni speciali ed esperienze rare, un uomo che ha un sorriso affabile e affetti saldi che lo ancorano alla vita, non può eludere la baldanza e l’audacia del tenente Drogo, ritto sui bastioni della Fortezza, ad aspettare i Tartari. La morte è una scocciatura, ammette. E in questa celia garbata si annida la finzione di un’indifferenza, forse lo smarrimento, il cedimento di un attimo. Quello spiraglio in cui si spalanca il mistero, e ci chiede di guardarlo, almeno guardarlo. “Il varco è qui?” La luce dei limoni s’irradia da qui?