Via Padova è una delle zone periferiche di Milano a maggior densità di extra comunitari. Qui convivono fianco a fianco etnie diverse, non senza problemi: sudamericani soprattutto e islamici, oltre naturalmente milanesi. Da qualche tempo però, rispetto a incidenti occorsi in passato, la convivenza è diventata più pacifica, grazie anche all’impegno di quella che è una delle realtà islamiche più vivaci e aperte del capoluogo lombardo e che fa capo alla moschea di questa strada.
Da anni, dopo un incontro fra alcuni cristiani impegnati nella colletta del Banco alimentare e l’imam della moschea, molti di loro prendono parte alla giornata della colletta. “E’ un gesto che sentiamo molto” ci dice uno dei responsabili della moschea, Mahmoud Asfa “perché ci accomuna tutti, cristiani, musulmani, non credenti, per il bene comune”. Sono dozzine i giovani di questa comunità che si recano in vari supermercati: “Il concetto di carità è parte integrante della nostra religione, come lo è per tutti coloro che credono in Dio, e per noi significa anche una testimonianza a essere presenza viva nella società italiana, non un mondo a parte come molti pensano. Alla colletta partecipano persone che ancora non hanno la cittadinanza italiana, ma soprattutto i giovani di fede musulmana nati qui a Milano, che sono a tutti gli effetti italiani come tutti”.
La spinta caritatevole di questa comunità, ci dice ancora Asfa, ha spinto a creare iniziative rivolte a chi fra di loro soffre di più la povertà: “Abbiamo istituito la Cassa dei poveri. Chi non può comprare medicinali porta qui la sua ricetta e noi li compriamo per lui, così anche chi non riesce a pagare il ticket. E per chi non può permettersi di fare la spesa, abbiamo fatto una convenzione con due pizzerie della zona dove possono recarsi a mangiare e noi alla fine del mese saldiamo il loro conto”. Il bene in azione per tutti, questo ci insegnano quelli che noi normalmente preferiremmo vedere confinati in ghetti.
Ma c’è chi, italiano, vive situazioni di povertà doppiamente drammatiche perché coinvolgono non solo l’aspetto materiale ma anche quello umano. Difficoltà di cui spesso ci si vergogna così tanto che si arriva a non avere il coraggio di chiedere aiuto. Ce ne parla Domenico Fumagalli, presidente dell’Associazione papà separati della Lombardia (ci tiene a chiarire il termine papà e non padri, “perché è più affettuoso e meno anonimo e per noi più significativo”).
In tutto una quarantina di persone, ci spiega, che partecipano alla colletta nei supermercati di Como e di Cologno Monzese: “A quello di Cologno sarà presente in mattinata anche Marco Del Noce, il noto comico di Zelig salito alla ribalta delle cronache per essere stato costretto a vivere in macchina dopo la separazione”. L’Associazione partecipa all’attività del Banco non solo nella giornata della colletta, ma tutto l’anno: “Tutte le settimane ritiriamo il cosiddetto fresco da undici supermercati diversi e consegniamo pacchi cibo a 265 tra nuclei familiari e single, un impegno molto grosso anche perché oggi le normative dell’Unione europea in merito sono diventate particolarmente gravose”.
Una associazione a tutto tondo, questa dei papà separati, ci dice ancora Fumagalli, che si occupa anche di housing sociale: “Dodici appartamenti gestiti in modo diretto e cinque in modo indiretto per quei padri che sono rimasti sul marciapiede. Grazie al nostro impegno nel 2005 siamo riusciti a far cambiare la legge in merito che adesso mette il separato nella stessa condizione di chi ha subito lo sfratto esecutivo e dunque si può mettere in lista per un alloggio nelle case popolari”.
Ma resta la difficoltà umana di chi ha perso la famiglia e magari anche il lavoro, o che con il lavoro non riesce a far fronte al mantenimento della famiglia e di se stesso: “Mentre le donne hanno sviluppato la capacità di andare dalle istituzioni a chiedere aiuto gli uomini si vergognano. Siamo cresciuti con la mentalità del ‘te la devi cavare’. Gli uomini non sono capaci di farsi aiutare, non c’è la capacità per dire ho bisogno di aiuto”. Il tutto, conclude Fumagalli “con le istituzioni che si rifiutano di venire incontro agli uomini. Da dodici anni esiste la legge dell’affido condiviso ma di fatto non è mai stata applicata, perché i tribunali per primi non la applicano. Il messaggio che noi cerchiamo di far passare è che non è pensabile che se ci sono degli ordini all’interno dello stato che mantengono strati della popolazione in un tessuto sociale di povertà, disagio e frustrazione è chiaro che la nostra economia non si riprenderà mai. Manca la capacità di una mentalità inclusiva. E quando leggiamo che un padre si è suicidato o ha commesso una strage in famiglia, ricordiamoci che questi episodi nascono da questa situazione. E’ un sistema che induce alla disperazione”.