Forse il passaggio più significativo della lunga chiacchierata tra il Cardinal Gerhard Müller – massimo teologo cattolico ed ex Prefetto della Congregazione della Fede – e il giornalista del Corriere Massimo Franco va sottolineato in questo: «i veri amici non sono coloro che adulano il Papa ma quelli che lo aiutano con la verità e la competenza teologica ed umana. In tutte le organizzazioni del mondo i delatori di questa specie servono solo se stessi». È un attacco ai collaboratori di Papa Francesco con il quale riafferma invece un legame indissolubile, non per questo senza critiche ma sempre rimanendo nell’alveo di un umile servitore della Chiesa, unita da e per Cristo. Müller ci era rimasto piuttosto male quando venne sostituito lo scorso luglio col Cardinal Ladaria: «Il Papa mi confidò: “Alcuni mi hanno detto anonimamente che lei è mio nemico” senza spiegare in qual punto», racconta affranto. «Dopo quarant’anni al servizio della Chiesa, mi sono sentito dire questo: un’assurdità preparata da chiacchieroni che invece di instillare inquietudine nel Papa farebbero meglio a visitare uno strizzacervelli. Un vescovo cattolico e cardinale di Santa Romana Chiesa è per natura con il Santo Padre». Non adulatore ma messaggero, ponte tra due parti della Chiesa che si guardano sempre meno e sulle quali “soffiano” da più parti venti di scisma.
“CHI RECLAMA VA ASCOLTATO, SI RISCHIA LO SCISMA”
Già, quella stessa terribile e temibile parola viene evocata dal profondo conoscitore della Chiesa e della teologia mondiale: «C’è un fronte dei gruppi tradizionalisti, così come dei progressisti, che vorrebbe vedermi a capo di un movimento contro il Papa. Ma io non lo farò mai. Ho servito con amore la Chiesa per 40 anni da prete, 16 anni da cattedratico della teologia dogmatica e 10 anni da vescovo diocesano. Credo nell’unità della Chiesa e non concedo a nessuno di strumentalizzare le mie esperienze negative degli ultimi mesi», attacca con forza il cardinal tedesco, che poi riafferma e invita con la stessa forza come «le autorità della Chiesa, però, devono ascoltare chi ha delle domande serie o dei reclami giusti; non ignorarlo o, peggio, umiliarlo. Altrimenti, senza volerlo, può aumentare il rischio di una lenta separazione che potrebbe sfociare in uno scisma di una parte del mondo cattolico, disorientato e deluso. La storia dello scisma protestante di Martin Lutero di cinquecento anni fa dovrebbe insegnarci soprattutto quali sbagli evitare».
Una Chiesa unita ma nello stesso tempo profondamente a rischio divisione, a rischio di quello scisma che più volte i grandi Padri hanno avvisato e avvertito nei secoli scorsi: una divisione, uno scontro che non porta al bene della Chiesa e dei cristiani, men che meno al Papa. Ecco ancora Müller, «Le tensioni nascono dalla contrapposizione tra un fronte tradizionalista estremista su alcuni siti web, e un fronte progressista ugualmente esagerato, che oggi cerca di accreditarsi come superpapista», sono minoranze ma agguerrite. In questo senso, il cardinal si erge a possibile “ponte” per provare a ricondurre tutto a unità, nel segno e nella continuazione della grande tradizione della Dottrina Sociale della Chiesa: « se passa la percezione di un’ingiustizia da parte della Curia romana, quasi per forza di inerzia si potrebbe mettere in moto una dinamica scismatica, difficile poi da recuperare. Credo che i cardinali che hanno espresso dei dubbi sull’Amoris Laetitia, o i 62 firmatari di una lettera di critiche anche eccessive al Papa vadano ascoltati, non liquidati come “farisei” o persone brontolone. L’unico modo per uscire da questa situazione è un dialogo chiaro e schietto».
“NON TUTTI GLI INTELLETTUALI SONO SUPERBI”
Müller avverte chiaro, ancora sul Corriere, come i venti scismatici sono anche molto “vicini” al Pontefice argentino: «ho l’impressione che nel “cerchio magico” del Papa ci sia chi si preoccupa soprattutto di fare la spia su presunti avversari, così impedendo una discussione aperta ed equilibrata. Classificare tutti i cattolici secondo le categorie di “amico” o “nemico” del Papa, è il danno più grave che causano alla Chiesa. Uno rimane perplesso se un giornalista ben noto, da ateo si vanta di essere amico del Papa (e il riferimento a Eugenio Scalfari è nettamente chiaro, ndr); e in parallelo un vescovo cattolico e cardinale come me viene diffamato come oppositore del Santo Padre. Non credo che queste persone possano impartirmi lezioni di teologia sul primato del Romano Pontefice». La Chiesa rischia, ma rischia anche la stampa a dipingere alle volte un mondo “falsato” da immagini più che da vere e proprie conversioni: «Papa Francesco è molto popolare, e questo è un bene. Ma la gente non partecipa più ai Sacramenti. E la sua popolarità tra i non cattolici che lo citano con entusiasmo, non cambia purtroppo le loro false convinzioni. Emma Bonino, per esempio, loda il Papa ma resta ferma sulle sue posizioni in tema di aborto che il Papa condanna». Il cardinal tedesco mette dunque sul “chi va là” chiunque scambi la grande popolarità di Francesco con una vera ripresa della fede, sono due elementi molto diversi.
Parla di una giusta immagine, quella usata da Bergoglio, di una Chiesa come ospedale da campo, ma nello stesso tempo l’ex Prefetto della Congregazione della Fede è convinto che oggi ci sia bisogno di un passo in più, «Oggi avremmo bisogno più di una Silicon Valley della Chiesa. Dovremmo essere gli Steve Jobs della fede, e trasmettere una visione forte in termini di valori morali e culturali e di verità spirituali e teologiche. Non basta la teologia popolare di alcuni monsignori né la teologia troppo giornalistica di altri. Abbiamo bisogno anche della teologia a livello accademica». In questo senso, Müller rivendica una rinnovata “ventata” di teologica che accompagni la grande carica umana e comunicativa di Bergoglio: «Ho la sensazione che Francesco voglia ascoltare e integrare tutti. Ma gli argomenti delle decisioni devono essere discussi prima. Giovanni Paolo II era più filosofo che teologo, ma si faceva assistere e consigliare dal cardinale Ratzinger nella preparazione dei documenti del magistero. Il rapporto fra il Papa e la Congregazione per la dottrina della fede era e sarà sempre la chiave per un proficuo pontificato. E ricordo anche a me stesso che i vescovi sono in comunione con il Papa: fratelli e non delegati del Papa, come ci ricordava il Concilio Vaticano II».