La giornata comincia molto presto: i ragazzi del liceo impegnati nella Colletta alimentare chiamano già alle sette per sapere dove sono i supermercati, uno arriva perfino a chiedere “come fa un supermercato ad aprire”. Segno dei tempi, abitudine a vedere le cose che funzionano e a non capirne più il perché. Poi iniziano i turni, si indossano le pettorine gialle e il clima è leggermente diffidente. Qualcuno chiede se si possa uscire dieci minuti prima rispetto al turno previsto o se si debba davvero proporre a tutti di fare la spesa. I volontari più anziani e navigati rispondono e la giornata comincia davvero. Alcune ragazze raccontano di una signora che fa finta di non vederle, di un’altra che le guarda male e di una che alla fine si ferma e accetta di fare la Colletta. 



C’è una chat di tutti gli studenti della scuola che partecipano al gesto e prima delle nove arrivano le prima urla di vittoria: “Una ha accettato!”; “Da noi già due”. Seguono competizioni fra alimenti, tra chi sostiene che “abbiamo un sacco di tonno” e chi invece dice che “è meglio avere più fagioli”. Passano le undici e stranamente una ragazza continua a scrivere sul gruppo. “Ma non dovevi uscire dieci minuti prima?” le chiede un’amica. “Eh, ma volevo sapere come va a finire” risponde lei. E la mattinata continua. È il momento dei commenti e dei primi bilanci, arrivano nuovi volontari e la chat si anima. “Prof una signora ci ha chiesto di andare a mangiare da lei, possiamo?”. “Anche a noi, ma dobbiamo stare qui a controllare la situazione”. “Ma non è arrivato nessuno a darvi il cambio?”. “Sì, ma non fermano tutti e non si può rischiare di perdere un’ora così”. 



E meno male che avevano chiesto se fosse il caso di proporre a tutti di partecipare. Ma fa niente: le cose stanno prendendo un’altra piega. Arrivano le foto del pranzo, le immagini rubate di chi parla con un anziano signore cercando di spiegargli che cosa sia la Colletta. “Prof, anche Giacomo parla! In classe non sappiamo neanche che voce abbia”. “Impossibile” risponde un compagno. Ma oggi niente è impossibile. L’allarme rosso, però, suona alle tre. “Prof c’è un problema… mia mamma ha voluto accompagnarmi a fare la colletta e adesso vuole rimanere… ma non può, vero?!?”. La saggezza dell’amica del cuore risolve tutto: “Chia, ho finito il turno da me, vengo io a stare con lei e ad aiutarvi”. “Prof, una signora non ce la fa a portare la spesa a casa… la posso aiutare o mi conta come assenza?”. “Ma guarda che non siamo a scuola”. “Sì, ma alla fine della giornata voglio il foglio che ci sono stato anch’io qui. So che non serve per scuola, ma serve a me…”.



Tra le volontarie c’è una ragazza che da tempo soffre di depressione e attacchi di panico. Si è fatta convincere da una compagna e adesso scrive ansiosamente: “Prof ho paura”. “Guarda che se vuoi puoi tornare a casa”. “No prof, io voglio stare qui, ma posso scriverle quando ho paura?”. C’è anche il ragazzo che ha detto a tutti di essere omosessuale e che arriva fiero col suo fidanzato. In quel turno il prof. è presente, sembra che la cosa sia fatta apposta per attirarne l’attenzione. Ma dopo venti minuti gli amici, che a volte sono feroci, superano l’imbarazzo con una frase secca: “Guarda che qui siamo tutti venuti per dare una mano, voi che cosa volete fare?”. Le rivendicazioni diventano lavoro, la ragazza degli attacchi di panico scrive verso le sei allarmata: “Ma prof… qui ci sono degli alpini”. “Anche qui” le fa eco un’altra alunna. Li studiano un po’ e poi sentenziano: “No problem prof… sono simpaticissimi!”.

Si avvicina l’ora della chiusura. “Possiamo andare al magazzino?”. “Ma è da stamattina che sei lì”. “A casa non faccio niente, qui sono utile!”. È notte, piove, qualcuno sente dai volontari adulti che si è raccolto qualche chilo in meno in alcuni supermercati. È il momento in cui gli altri sottolineano i dati in più, fanno i conti dei supermercati aperti o chiusi durante l’anno e tirano le somme: “No, dai… sta andando molto bene…”. 

Gli ultimo camion si allontanano, la giornata si chiude. La ragazza con gli attacchi di panico torna a farsi viva: “Prof… ce l’ho fatta! Grazie! Ho visto anche le lucine accese… che bello! Buon Natale”. 

Nessuno sa come chiamare questo giorno strano. La chat si spegne e quel messaggio rimane lì, in fondo, da solo. Sembra quasi la sintesi di tutto, l’annuncio che tutti aspettano. È Natale. Forse no, ma è come se lo fosse. Il treno dell’adolescenza ha incontrato la forza della realtà. E allora è chiaro che è festa, è chiaro che con un giorno così cambia davvero tutto. E si riapre la partita. “Quando abbiamo caricato tutte le scatole sul camioncino ho pensato che vorrei sentirmi così ogni giorno della mia vita”. “Non so come definire questa giornata: so solo che c’è stata”. E chi se la dimentica più?