Lo scrittore Alessandro Leogrande era uno degli autori più impegnati del nostro panorama intellettuale. In particolare il suo impegno è stato rivolto verso quelle categorie di persone impossibilitate a difendersi da sole, quelle categorie meno tutelate e maggiormente esposte a soprusi di ogni genere. I suoi libri hanno combattuto, ad esempio, un ambito oscuro e pericoloso come quello del caporalato, dove uomini senza scrupoli sfruttano ai limiti della schiavitù degli immigrati clandestini. Alessandro Leogrande ha affrontato questo problema nello scritto ‘Uomini e caporali: viaggio tra i nuovi schiavi nelle campagne del Sud’ edito da Mondadori nel 2008. Non solo, comunque. Anche l’immigrazione in senso stretto è stata toccata dall scrittore tarantino ‘naturalizzato romano.’ A seguire, infatti, il giornalista ha scritto ‘Il naufragio: morte nel Mediterraneo’, un altro importante tassello all’interno del suo preciso impegno politico volto a raccontare verità scomode. L’ultimo testo dello scrittore è stato di due anni fa, quando usciva con ‘La Frontiera’, edito per Feltrinelli. (agg. Francesco Agostini)



LE PAROLE DI ROBERTO SAVIANO

Commossa la reazione del mondo giornalistico e culturale italiano alla notizia della morte di Alessandro Leogrande. Al giornalista, filosofo e scrittore ha dedicato un pensiero su Twitter anche Roberto Saviano: “Addio amico mio, addio anima che aveva il coraggio della bontà e dell’indignazione. Questo mondo di merda l’hai davvero cambiato, perché con le parole hai agito sui tuoi lettori e su chi, come me, ti ha ascoltato, letto e voluto bene”. Al lutto della famiglia si associa anche il Salone del Libro di Torino, per il quale Alessandro Leogrande collaborava come consulente. “Alessandro è stato fra gli elementi della squadra a offrire uno fra i più importanti contributi di idee, sguardi, e proposte. Stava già lavorando con la stessa energia a nuovi progetti per l’edizione 2018. Tutto il Salone, affranto, è vicino alla famiglia e ai suoi amici più cari”, il messaggio firmato dal presidente Massimo Bray, il vicepresidente Mario Montalcini e il direttore editoriale Nicola Lagioia. (agg. di Silvana Palazzo)



ALESSANDRO LEOGRANDE MORTO PER UN MALORE

È morto nella sua casa a Roma, all’età di 40 anni, Alessandro Leogrande, scrittore, filosofo e giornalista pugliese originario di Taranto. La notizia del suo decesso è giunta come una doccia fredda per la comunità di colleghi ed amici che lo stimavano e, come riporta Corriere.it, è stato il padre Stefano a renderla pubblica, per poi essere rilanciata sui social da Marco Ludovico. Quella di Leogrande è stata una morte improvvisa che ha gettato nello sconforto l’intero mondo della cultura tarantina e nazionale. Dopo le iniziali voci circolanti questa mattina, la conferma, durissima, è giunta proprio via Facebook da Ludovico. Collaboratore del Corriere del Mezzogiorno e Internazionale, Alessandro era vicedirettore della rivista Lo Straniero ed instancabile cronista di attualità, politica e cultura. Numerose le tematiche affrontate nel corso della sua carriera giornalistica, dai reportage sulle nuove mafie alle migrazioni contemporanee, passando per lo sfruttamento dei braccianti stranieri nelle nostre campagne. Negli ultimi mesi, come ricorda Repubblica.it, si era recato in Argentina dove aveva approfondito la ricostruzione storica sulle dittature militari che si sono susseguite nel Paese negli ultimi 50 anni. Nella sua Taranto aveva iniziato a militare e manifestare il suo enorme impegno politico ed intellettuale che lo ha accompagnato fino alla fine.



IL TOCCANTE RICORDO DEL PADRE

Era da poco tornato nella sua casa romana dopo un evento tenutosi a Campi Salentina, in provincia di Lecce, in occasione de “La città del libro”. E nella sua abitazione sarebbe stato colto da malore nella giornata di ieri, domenica 26 novembre, fino al tragico decesso forse causato da un infarto. Sarà comunque l’autopsia a chiarire ogni dubbio e confermare la reale causa della sua morte. Se ne è andato così, all’improvviso, Alessandro Leogrande, una delle penne più promettenti, corrette e instancabili della nostra generazione. Il padre Stefano lo ricorda oggi non solo come figlio amatissimo ma anche come per le sue qualità sempre mirate alla ricerca della verità. “Ho sempre percepito, orgogliosamente, che la Sua essenza fosse molto, ma molto migliore della mia. Oggi questo padre si sente orfano”, scrive papà Stefano dopo aver ricordato ciò che per lui è stato Alessandro, ovvero “Gioia” ma anche “lavoro fatto bene, analitico e profondo; tutto alla ricerca della verità; ed era anche la denuncia; fatta con lo stile dell’annuncio, che, nonostante tutto, un mondo migliore, è ancora possibile”.