YANGON (Myanmar) — Oggi è il grande giorno. La giornata di ieri il Papa l’ha dedicata ai colloqui con i governanti. Per inciso: il testo in italiano è piaciuto a quasi tutti. Ma si è sentito il mormorio di chi ha avuto da dire sul perché ha incontrato prima l’uno che l’altro. Credo che ci sarebbero stati ugualmente anche se avesse fatto il contrario. Oggi invece c’è la messa nello stadio. È il giorno tanto atteso dagli amici birmani. È il giorno di festa! La città si è riempita di pellegrini da tutta la Birmania, ma sono arrivati anche dalla Thailandia e dagli altri paesi vicini. Altri sono arrivati nella notte con i pullman. Il caldo è opprimente. Per fortuna la messa stamattina sarà alle 9.30 e l’ingresso allo stadio alle 6.



Io non sono qui come giornalista ma per un’amicizia che dura da oltre vent’anni, nata “per caso”, con un prete birmano. Dal 1995 con quell’allora giovane prete prosegue un rapporto che si è esteso anche ad altri. Per loro questo viaggio del Papa è più di quanto potessero mai sognare. Se vent’anni fa questi amici mi avessero espresso questo desiderio, io avrei risposto loro di essere realisti. Invece oggi c’è la messa e — come ho già scritto — se anche non dicesse una parola, il fatto che Francesco è qui sarebbe già tutto.



Per una questione di fede: Pietro, il Pastore è qui. Per loro. Nessuno è dimenticato.

Per una questione di dignità: sono una minoranza (500mila cioè l’1 per cento della popolazione) nelle minoranze, perché sono sparpagliati nelle varie etnie non sempre in pace fra loro. Davvero “un’etnia sui generis”! Invece si riuniscono tutti insieme oggi allo stadio.

C’è una cosa che ieri sera davanti ai volti di questi amici mi è venuto da ricordare. Essi non sarebbero qui se nei secoli centinaia di uomini (laici e missionari) e donne (suore) non fossero venute in Birmania a testimoniare la fede. Nei secoli passati infatti il cristianesimo si è diffuso in queste terre attraverso i modi più incredibili: commercianti armeni e — udite, udite — pirati portoghesi che una volta catturati venivano mandati a due a due nei villaggi dell’interno per evitare che scappassero. Poi gli ordini missionari: francescani, oblati, Mep ma soprattutto il Pime. Solo per citare il più famoso: padre Clemente Vismara. Fu capace di costruire chiese ma soprattutto ospedali, dispensari, orfanotrofi, lebbrosari. Ma aveva una dote particolare: era un grande comunicatore. Scriveva lettere appassionate ai giornali italiani ed era diventato famoso anche fra i lettori laici. Un particolare che mi ha sempre colpito, per l’ironia: dormiva con sotto il letto una cassa da morto in tek per sé, perché le formiche rosse non lo mangiassero. Quando è morto non c’era, aveva donato anche quella (la diciottesima) che si era fatto costruire il giorno prima e non avevano neanche di che vestirlo! E ieri sera questi volti. Dio ha bisogno degli uomini. Senza la Libertà degli uomini, la Grazia di Dio non costruisce, e viceversa.



(Silvio Pasero)

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