Una cosa è certa. Le intercettazioni telefoniche, nell’ambito di un’inchiesta, spesso mettono in evidenza non tanto la malafede, quanto la superficialità con cui, soprattutto i pubblici dipendenti, svolgono il proprio lavoro. Adesso si accusano i dipendenti della Provincia di Pescara per le battute e le risate fatte durante l’ondata di maltempo immediatamente precedente la tragedia di Rigopiano. Battute esecrabili, condannabili. Non giustificabili soprattutto alla luce di quanto è successo poche ore dopo. Ma a volte una battuta tra colleghi, anche di pessimo gusto, può capitare. Battute che lascerebbero il tempo che trovano se condite da una condotta impeccabile, dalla voglia di lavorare per il bene comune, in questo caso per risolvere problematiche difficili dovute alla forte nevicata in corso. Ma così non è stato.



E la tragedia vera è questa. Perché in molti se avessero pensato a una Spa, al fatto di dover liberare la strada avrebbero pensato anche alle sue piscine, al desiderio di fare un bagno in quelle acque di montagna. Pensieri umani che però di fatto, oggi, alla lettura delle intercettazioni che sono contenute nel fascicolo dell’inchiesta avviata dalla Procura di Pescara sulla tragedia hanno un sapore amaro, che risvegliano dolori di chi ha avuto perdite, di chi è rimasto ferito.



Intercettazioni che devono essere di monito, non per il loro contenuto, ma per il loro messaggio intrinseco. Un avvertimento per tutti coloro che potrebbero fare di più, all’interno di un ufficio pubblico, nel ruolo svolto, che sia di dipendente o di amministratore. Un monito a impegnarsi affinché non si punti solo alla fine della giornata, al timbro sul cartellino, anzi oggi al badge da strisciare sul marcatempo. Un impegno a non rinviare al giorno dopo faccende e situazioni che potrebbe diventare pericolo per l’intera comunità. Questa è la vera colpa di Rigopiano, questa è la vera colpa di un’Italia che sembra sempre più arrangiata, rappezzata, periodicamente vittima della violenza della natura, quotidianamente vittima dell’insipienza di che non vuole dedicarsi al proprio lavoro.



Ci vorranno tre anni per avere la Carta Valanghe della Regione Abruzzo. La mappa, che se fosse esistita avrebbe probabilmente evitato i 29 morti di Rigopiano, verrà realizzata dal professor Roberto Nevini, geologo dell’università di Siena, che ha vinto l’appalto della Regione. La base dell’appalto è stato assegnato ai primi di novembre, era di oltre un milione di euro e dovrà mappare oltre 4 mila chilometri quadrati. Nelle informative dei carabinieri Forestali sulla tragedia di Rigopiano si parla espressamente della “consapevolezza del rischio” da parte dei funzionari regionali. Quindi se ci fosse stata questa mappa qualcosa poteva andare diversamente. Forse.

Consapevolezza avvertita nell’ormai lontano 2012 e due anni più tardi la Giunta Chiodi (centrodestra) approvava “il catasto storico delle valanghe e ordinava di realizzare la carta di localizzazione del pericolo”. Lo stesso anno, nel mese di maggio va al governo il centrosinistra e si ribadisce questa necessità con la contestuale richiesta di fondi. A rafforzare questa consapevolezza viene ricostruito quanto accaduto nelle forti nevicate del 2012 e che “negli ultimi 20 anni sono stati oltre 20 i decessi dovuti a travolti da valanghe”.

Ma “la Regione Abruzzo oltre a non stanziare e programmare i fondi necessari per la CLPV ha lasciato l’Ufficio Rischi incendio boschivi e valanghe praticamente senza personale”, si legge nelle carte dell’inchiesta, tanto che “la mancanza di personale ha avuto un riflesso negativo sulla vicenda di Rigopiano”. Carenze segnalate al punto che “i disservizi dovuti alla mancanza di personale presso l’ufficio si appalesa proprio nei giorni 17-18 gennaio 2017 quando a causa del maltempo un dirigente non può raggiungere il posto di lavoro e non può divulgare alla stampa il pericolo valanghe 4”.

Responsabilità più gravi di una battuta fuori luogo. Ma serve un’inversione di tendenza, che vada oltre il populismo, oltre le condanne popolari, che porti anche chi critica a chiedersi se ogni giorno ha fatto bene, se poteva fare di più, se è colpevole perché la sua giornata lavorativa poteva essere diversa.