Chi lo dice che c’è un tempo stabilito a dare dignità alla vita? Di certo non i genitori di Giacomo Avallone, il bambino che ha vissuto 8 ore, eppure ha insegnato tanto, tantissimo, non solo alla sua mamma e al suo papà. La sua storia è stata raccontata su Tracce, la rivista internazionale di Comunione e Liberazione nel mese di ottobre. Si prende spunto dal diario tenuto da mamma Silvia, poi diventato un libro. Insieme a papà Roberto compongono una coppia felice: vivono a Dubai, negli Emirati Arabi, e hanno già 3 figlie (Viola, Rachele e Stella) quando nel luglio 2015 scoprono di essere in attesa di Giacomo. Quando si reca a fare l’ecografia, Silvia rifiuta orgogliosamente l’invito della dottoressa che le domanda se voglia per caso lo screening per la Sindrome di Down, tra sé e sé pensa: “Chiunque tu sia, ti voglio bene e sarò con te”. L’imprevisto, però, è dietro l’angolo: la dottoressa inizia l’ecografia interna e d’un tratto si blocca: “C’è un problema alla testa. Non ci sono le ossa”, dice. E’ un attimo: ma il mondo si capovolge e la sensazione è quella di un dolore lancinante.



ANANCEFALIA, COS’E’

Il nome che cambia le vite di Silvia e Roberto è anancefalia: negli Emirati Arabi, un paese musulmano dov’è in vigore la sharia, è l’unica malattia per cui sia consentito abortire. Quando Silvia riceve la notizia è sola con le figlie: il marito è in Italia. Decide di aspettare il suo ritorno per comunicargli la brutta notizia che ha appena ricevuto. E nelle ore di devastazione che è costretta a vivere di nascosto, per non far accorgere di nulla le figlie, si fa strada un sentimento particolare, “l’idea che Dio ci stesse chiedendo qualcosa di grande, anche se immensamente faticoso“. Giacomo ha il diritto di nascere, decidono i genitori, che affrontano anche le resistenze di chissà quanti ospedali, incapaci di capire il “senso” di far nascere un bambino destinato a morire. Il senso lo spiega il papà:” Il mio bambino c’era e avrei potuto accompagnarlo, seppure per un tratto breve, come stavo facendo con le altre figlie“. 



LA NASCITA E LA MORTE

Per raccontare la nascita di Giacomo Avallone ci affidiamo a quelle usate da mamma Silvia nel suo diario, non si potrebbe fare altrimenti:”Il tuo arrivo è stato accolto da un profondo silenzio, misto a stupore. Tu non hai fatto nulla. Non un gemito, non il pianto. Solo un respiro in punta di piedi appena percepibile. Niente ti ha portato via da quella tua calma e compostezza. Abbiamo provato una pace che non è di questo mondo“. Papà Roberto, che ha avuto l’ingrato compito di organizzare il funerale del suo bambino prima della sua nascita, spiega che “il dolore e la morte non sono il male assoluto: il male assoluto è l’assenza di senso“. E anche oggi, che il dolore dell’abbandono è se possibile più forte, mamma Silvia spiega “come si può continuare a vivere dopo una cosa così? Come si fa ad affrontare il vuoto immenso che sento ogni giorno?“. La risposta è “vivendo”, ringraziando di “quanto i miei occhi hanno visto”. Perché sono bastate 8 ore, a Giacomo, per lasciare un segno indelebile, perché “noi dicevamo sempre: non abbiamo fatto nulla… Invece, le cose che Dio fa passano attraverso la tua libertà, la tua adesione. La bellezza che abbiamo vissuto non è il frutto di quello che abbiamo fatto per Giacomo, è una grazia. Ma senza tutto il cammino non l’avremmo sperimentata”.

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