Qui sotto trovate tutto quanto può servire a “neofiti” come noi nel capire cos’è davvero quella terribile malattia del sarcoma di Ewing: ora però proviamo ad addentrarci nel capire come può e se si può affrontare un dramma come questo. «Di norma si manifesta come una tumefazione, spesso dolorosa, dell’arto colpito, cui segue poi una limitazione funzionale, talvolta, ha un decorso subdolo, con episodi saltuari di dolore con lunghe remissioni, e in queste forme è spesso difficile da diagnosticare correttamente», spiega Stefano Ferrari, rimario del reparto di chemioterapia dei tumori muscoloscheletrici dell’Ospedale Rizzoli di Bologna, al Corriere della Sera. Purtroppo la probabilità di guarigione dalla sindrome di Ewing dipende da moltissime variabili: «le forme più favorevoli sono quelle di piccole dimensioni, che presentano un interessamento evidente a un singolo segmento scheletrico. All’interno di queste forme, che non mostrano evidenti metastasi, le localizzazioni a carico delle estremità hanno una migliore probabilità di guarigione rispetto a quelle del bacino. Globalmente, possiamo dire che le probabilità di guarigione per le forme scheletriche che non mostrano metastasi evidenti sono del 70%», spiega ancora il primario, avvertendo che vi sono forme anche molto più aggressive con plurime localizzazioni e per le quali «le probabilità di guarigione sono inferiori». (agg. di Niccolò Magnani)



IL CASO DI STEVEN ALLE IENE

La storia di Steven, il ragazzo di 22 anni al centro del servizio de Le Iene Show di Italia Uno, fornisce l’occasione per parlare del sarcoma di Ewing un tumore molto raro – e dunque poco conosciuto – che colpisce soprattutto i bambini e i giovani adolescenti. Così come il protagonista del caso raccontato su Italia Uno, che si è visto sospendere lo stipendio dall’INPS per aver superato i 180 giorni di malattia a causa dell’ennesimo intervento subito, tanti altri giovani sono costretti a fare i conti con una malattia che rischia di diventare molto invalidante. Come riportato dal sito dell’AIRC (Associazione Italiana per la Ricerca sul Cancro), il sarcoma di Ewing è il più comune dell’omonima famiglia di tumori caratterizzata da un’origine simile: provengono infatti da cellule staminali indifferenziate di origine mesenchimale o neuroectodermica, e dunque da quei tessuti che, nell’embrione, provvedono a dare origine al sistema muscoloscheletrico o nervoso.



SINTOMI E DIAGNOSI

Il sarcoma di Ewing prende il nome da James Ewing, che lo descrisse per la prima volta all’inizio degli anni Venti del secolo scorso riconoscendolo come un tumore osseo con caratteristiche differenti dall’osteosarcoma. Non ci sono gruppi di ossa esenti dal rischio di contrarre il sarcoma di Ewing ma le sedi più comuni della malattia sono le ossa pelviche, quelle toraciche, il femore e la tibia. Il sintomo più comune, come chiarisce l’Airc, è il dolore nel punto corrispondente alla presenza della malattia (soprattutto nel caso dei sarcomi localizzati alle ossa). Spesso si presentano anche gonfiore e masse visibili quando il tumore prende a svilupparsi su braccia e gambe. In presenza di metastasi possono poi insorgere altri sintomi di malessere come febbre, perdita di peso e stanchezza o altri disturbi più specifici, quali ad esempio difficoltà nella respirazione nel caso di metastasi ai polmoni. La diagnosi del sarcoma di Ewing può avvenire mediante una radiografia della regione sospetta seguita eventualmente da una risonanza magnetica o una TC (tomografia computerizzata), mentre scintigrafia ossea e PET (tomografia a emissione di positroni) aiutano a comprende se il tumore si è già diffuso in altre regioni del corpo. Per avere la certezza della presenza del tumore resta comunque fondamentale la biopsia.



CURA E RISCHI

Ogni anno in Italia si registrano meno di 100 nuovi casi di sarcoma di Ewing, a dimostrazione che siamo in presenza di una forma di tumore molto rara. I più colpiti sono i bambini e gli adolescenti al di sotto dei 20 anni. L’incidenza della malattia nei maschi è più alta di una volta e mezza rispetto a quella nelle femminie. Ma come si cura il sarcoma? Gli approcci sono diversi: c’è la possibilità di ricorrere chirurgicamente sostituendo le ossa colpite dal tumore con protesi o ossa di donatori. Questa metodologia, però, avendo a che fare molto spesso con pazienti in fase di sviluppo presenta una controindicazione: nel corso degli anni, cioè, si dovranno effettuare molteplici interventi per adattare la lunghezza delle protesi alla crescita del corpo (per quanto la diffusioe di protesi di lunghezza variabile stia riducendo questo problema). Il più delle volte ci si affida ad una strategia conservativa, che prevede la chemioterapia per via endovenosa prima del ricorso alla chirurgia o alla radioterapia. Nei tumori più resistenti ai trattamenti standard e in quelli che si ripresentano, come riporta l’Airc, è possibile effettuare “alte dosi di chemioterapia seguite da trapianto di cellule staminali che vanno a sostituire le cellule del midollo distrutte dai chemioterapici”. Un nuovo apprroccio è quello che prevede l’utilizzo dei “cosiddetti farmaci biologici che riconoscono una specifica molecola presente sulle cellule tumorali e non su quelle sane. Alcuni di questi hanno come bersaglio una proteina chiamata IGF-1R, che favorisce la crescita del tumore, altri invece rallentano la formazione di nuovi vasi sanguigni che portano il nutrimento alle cellule malate”.