Ieri in Gran Bretagna un giudice ha sospeso la sentenza a carico di Farhana Ahmed, condannata a due anni di carcere per propaganda terroristica, rimandando a casa la 40enne musulmana perché possa prendersi cura dei suoi 5 figli. Mi è venuta subito in mente la domanda che mi ha fatto questa settimana un’alunna della scuola media: “Quando finirà il terrorismo islamico?” Una bella domanda, semplice, che nessuno mi ha mai fatto e che da tempo non faccio a me stesso, così abituato come sono, ormai, a un fatto che riguarda strettamente la nostra vita.
Se è vero — le ho risposto — che solo una percentuale molto piccola di musulmani hanno direttamente a che fare con il terrorismo, il primo problema è che i terroristi godono ne mondo musulmano di una simpatia niente affatto piccola, a volte esplicita a volte implicita. Ho continuato dicendo che la sconfitta di certi gruppi terroristici, come per esempio l’Isis, è auspicabile e a volte necessaria. Nondimeno la loro sconfitta non ci porta più vicino alla fine del terrorismo islamico, ho aggiunto. La fine del terrorismo avverrà quando tali gruppi saranno visti senza simpatia dalla popolazione musulmana in generale. Cioè quando i loro metodi violenti e i loro scopi totalitari saranno visti come la negazione della fede musulmana dalla popolazione musulmana in generale. Poi le ho citato un sondaggio pubblicato da Al-Hayat, il quotidiano più diffuso dell’Arabia Saudita, il 22 luglio 2014. Per il 92 per cento dei rispondenti a un sondaggio nazionale l’Isis era conforme ai valori islamici e alla legge islamica.
Chiaramente c’è ancora parecchio lavoro da fare.
Ma che lavoro dobbiamo fare? La decisione del giudice inglese è un passo nella direzione giusta? La signora Ahmed aveva lodato su Facebook gli attacchi di Parigi e aveva pubblicato suggerimenti su come accoltellare la gente, oltre a disseminare in rete tantissimo altra materiale in favore del terrorismo islamico. Ma evidentemente quest’anno, in carcere, aspettando il processo, la mancanza dei suoi figli le ha fatto ripensare alla sua posizione, forse anche ai suoi convincimenti. Il giudice Christopher Moss, commosso dalla lettera di una figlia della Ahmed, ha confidato sul rimorso della donna, sulla sofferenza dei figli e sulla possibilità di incoraggiare, con la sua decisione di scarcerarla, un cambiamento positivo che lei stessa avrebbe potuto trasmettere ai bambini.
Farhana Ahmed aveva commesso un reato e meritava una sentenza di condanna. Ma che cosa fare per cambiare cuori e menti? Le cose più umane della nostra vita, come la famiglia, l’educazione dei figli, l’amore in casa mi sembrano essere un buon punto di partenza per un nuovo futuro. Quella del giudice Moss è una decisione non esente da rischi, è vero. Ma per un futuro che superi l’implacabile posizione ideologica che infetta il mondo islamico, dobbiamo pur fare dei passi nuovi e rischiosi. Speriamo che l’apertura del giudice al cambiamento della madre colpevole porti frutti, e che ci stimoli tutti ad aprirci a possibili passi, pur piccoli, che confidano nel nostro bisogno di bene.