Per un intero decennio, quello rappresentato dai floridi anni ’80, l’amaro Ramazzotti ha rappresentato il simbolo di Milano, con uno slogan che identificava, in quegli anni, l’intero spirito del capoluogo lombardo. Non solo il simbolo di una intera generazione dal punto di vista prettamente culturale, ma anche il pieno potere finanziario rappresentato da Mediobanca e dai nomi degli allora professionisti, tra i più blasonati della città. In questo contesto di grande splendore, si colloca un giallo, passato in sordina dalla cronaca nera nazionale e che vide la morte di Anna Ramazzotti, vedova Castellini Baldissera, rinvenuta cadavere ad Agno, poco distante da Lugano, il 25 luglio 1993. Il suo corpo, come ricorda oggi La Stampa, fu rinvenuto nella sua auto, con un sacchetto in testa ed alcune confezioni di barbiturici vuote accanto. Quella drammatica storia si trascina fino ad oggi, per via di un altro giallo, quello della sparizione di oltre 60 milioni di euro, ovvero la parte di eredità di Gaia, una dei due figli di Anna Ramazzotti, la cui morte all’epoca fu archiviata come suicidio esattamente come accaduto per Raul Gardini e Guido Cagliari appena pochi giorni prima. In un periodo particolarmente delicato, la morte dell’erede Ramazzotti passò in sordina e il celebre amaro, a metà anni ’80 fu venduto alla francese Pernod Ricard. A partire dagli anni ’70, il padre di Anna, Guido Ramazzotti, aveva creato un patrimonio all’estero che divenne ancora più cospicuo dopo la cessione delle attività italiane. Anche il marito, morto nel 1971 era tra gli eredi di una delle più ricche famiglie milanesi. Ad occuparsi dei due figli di Anna, ai quali sarebbe spettata una elevata eredità, fu lo zio Vincenzo Maranghi. Del patrimonio liquido dei due fratelli Ramazzotti se ne prese invece cura una fondazione del Liechtenstein, Davenia.
AMARO RAMAZZOTTI: L’EREDITIERA GAIA A CACCIA DELLA VERITÀ
Tutto filò liscio, fino alla fine del passato decennio quando Gaia, ormai adulta, inizia ad accorgersi di alcune stranezze, a partire dai soldi, tanti, e dalle sue proprietà spariti nel nulla. Dalle ricerche della donna emergono consulenti tra Milano, la Svizzera e una serie di paradisi fiscali che hanno gestito una fetta del suo patrimonio tra cui Rubino Mensch, che gestì inizialmente la Fondazione Davenia ma anche Pierfranco Riva, avvocato di Lugano comparso in una serie di inchieste nostrane e ancora Niccolò Lucchini, creatore di alcune società riconducibili al patrimonio estero di Gaia. Quando l’avvocato di quest’ultima indaga, emerge una documentazione delle varie società gestite da Lucchini e dalla quale spuntano fuori alcune movimentazioni di titoli azionari, tra cui un pacchetto di titoli Fonsai. Spunta anche un conto presso Unicredit che apparterrebbe proprio a Gaia ma che nel 2009 una zia aveva attinto per alcuni pagamenti per spese personali (lavori di ristrutturazione, regali a professionisti e così via). Un elenco piuttosto corposo dal quale emergono versamenti periodici a tale “Cicciottello” pari a 100 mila euro ciascuno. Un rendiconto dettagliatissimo redatto a mano dalla stessa zia Letizia, su richiesta di Gaia e che si aprirebbe con un post-it emblematico: “Penso tu abbia bisogno di spiegazioni”. L’intera vicenda finisce in tribunale in una delle tante cause avviate dall’erede Ramazzotti per cercare di fare luce su dove siano finiti i suoi soldi. La prima causa si è conclusa con una condanna ad un parziale risarcimento a carico della zia, ma questo rappresenterebbe solo uno dei tanti procedimenti in corso.