Siamo in difficoltà, lo ammettiamo, di fronte a questo giornalista 93enne fondatore e direttore “emerito” di Repubblica: Eugenio Scalfari, proprio lui. Ogni settimana ormai è sulla bocca di tanti per quello che dice (e per quello che non dice), per un colloquio con il Papa o per un giudizio politico considerato troppo azzardato (tipo quando tra Di Maio e Berlusconi, gli viene chiesto a chi darebbe il suo voto, e la sua lunga militanza anti-Cav sembra smorzarsi), ma stavolta forse si è superato. Su Repubblica di oggi il fondatore si presta ad uno dei primi casi mondiali di giornalismo auto-autoreferenziale (la ripetizione è d’obbligo): ha pubblicato infatti una auto-intervista a se stesso, uno Scalfari che fa domande a Scalfari. Tutto vero ragazzi: «Stavo rileggendo un paio di giorni fa Il libro dell’inquietudine di Fernando Pessoa. È uno dei capolavori di questo agitato periodo della modernità, con il passo che mi ha più colpito ed è la creazione di se stesso attraverso il personaggio a cui dà il nome di Bernardo Soares. Che Bernardo sia Fernando non è nell’intuizione d’un lettore avveduto ma una dichiarazione dello stesso autore: Bernardo Soares sono io. Questa tecnica letteraria ha ispirato questo mio articolo che è alquanto diverso dal solito: è un’ intervista a me stesso». Eccolo lì, intervista a se stesso: come una sorta di sfizio a fine carriera, come un epilogo dalla grande padronanza di “ego” su inchiostro, si fa quelle domande che avrebbe voluto sentirsi fare da altri (o forse che avrebbe voluto fare lui stesso e non ha mai avuto il piano o il coraggio di farle). Abbiamo scelto due temi tra i tanti trattati più o meno surreali, specie nell’eloquio – un contrasto continuo tra l’ecumenico e il rivoluzionario mancato – che “Zurlino” (sì, proprio come il compianto Mago Zurlì) fa a Scalfarino, ops pardon, a Scalfari.
DILEMMI SU DIO
Il giornalista narra del suo incontro con Italo Calvino quando era al liceo di Sanremo, uno dei più segnanti della sua lunghissima carriera: «Incontrai Italo Calvino e cominciò un’ amicizia che durò cinque anni e poi riprese negli ultimi tre anni, fino alla sua prematura morte». Nell’auto-intervista Scalfari (si) racconta di cosa parlava con il grande scrittore: «Di letteratura, di poetica e di fisica teorica. Della vita e anche della morte. Non avevamo alcuna credenza religiosa, ma spesso parlavamo anche di Dio». Ed ecco qui che parte l’impennata surreale e piena di contrasti sul suo particolare rapporto con la fede (anche se stavolta Papa Francesco non li cita nemmeno): «Parlavamo di Dio per tentar di capire la natura di chi ha fede in Lui e in che modo quella fede influisce sulla loro vita. In realtà, salvo rari casi, non ha molta influenza. I peccati sono perdonati e dopo il perdono di solito si pecca nuovamente. Da questo punto di vista la fede in Dio rappresenta molto poco, almeno in pratica, salvo il pentimento che arriva quando si sta morendo. Allora il perdono è estremamente importante per l’ ammalato. Spesso lo fa perché sente veramente la necessità di pentirsi ma altrettanto spesso lo fa per evitare di finire all’ Inferno e conquistare con quel pentimento la presenza della sua anima in Purgatorio». Un attimo dopo però lo Scalfari “risposta” replica allo Scalfari “domanda” (ve l’avevamo detto che eravamo in difficoltà!), spiegando che il tema dibattuto nelle righe precedenti non lo interessa: «Riguarda chi ha fede nell’aldilà ma io sono non credente. Mi pento anch’io di alcune cose che ho fatto o per errore o perché mi piaceva farle. A volte mi pento anch’io per aver sbagliato con azioni non corrette». Ecco, la confusione sembra sempre più che regni sovrana in casa Scalfari-Scalfari…
GLISSA SU BERLUSCONI, MA SU RENZI INVECE…
Non parla di Berlusconi neanche in un accenno, eppure nelle ultime settimane il suo “endorsement” anti-grillino e pro-Cav aveva fatto dilaniare e non pochi i normali lettori di Rep, oltre che l’intero centrosinistra (tranne Renzi, va detto). È proprio di Matteo Renzi che però Scalfari sceglie di parlare a tutto spiano nella seconda parte dell’auto-intervista. «Mi vuoi dire che cosa pensi di lui?», chiede Zurlino, ed ecco la replica del fonda-direttore di Repubblica. «Renzi vuole molto bene a se stesso. Ma questo è normale, lo predica addirittura la Chiesa quando dice ” Ama il prossimo tuo come te stesso”. L’amore per se stesso è una inevitabile premessa che realizza la presenza dell’individuo senza la quale il mondo intero scomparirebbe. L’individuo è protagonista e tutto quello che viene dopo di lui e cioè l’ amore per il prossimo non si potrebbe verificare senza la presenza individuale. Qui però si pone un problema: qual è il prossimo? Per un privato cittadino il prossimo è la propria famiglia e questa è la maggioranza delle persone ovunque vivano e lavorino. Non è così per un partito politico che ha bisogno di un leader la cui attività preveda una classe dirigente, una sorta di Stato Maggiore che discuta con lui la strategia di quel partito e la metta in opera».
Qui Scalfari fa il pelo e contropelo al giovane dem spiegando che per lui il “popolo” è socialdemocratico o liberal- democratico: «il popolo che si riconosceva in quei valori esisteva già prima che Renzi arrivasse, ma ora anche lui è identificato con quei valori. Purtroppo lui ha un problema psicologico». La riposta è abbastanza prevedibile ed è la stessa che lui imputava al nemico (ex?) giurato, Silvio Berlusconi: «a lui piace comandare da solo. In politica questo malanno è molto diffuso. Personalmente penso che in un partito c’è, ci deve essere, la classe dirigente senza la quale quel popolo si sente tradito e abbandona in massa quel partito se non riesce a cacciar via quel Capo dei capi». Ma Scalfari riconosce un passo in più a Renzi che sta cercando in questi ultimi tempi, complice il crollo del consenso, una sorta di classe dirigente, da Gentiloni a Fassino, da Martina a Delrio, da Minniti fino a Veltroni (non proprio tutti di primo pelo insomma): «Spero che questa fase duri sempre con l’ apporto di quello Stato Maggiore di cui ho fatto qualche nome. Questa dovrebbe essere la strategia stabile d’ un partito. In Italia non è affatto questa. Ci sono capi assoluti quasi dovunque, da Salvini a Berlusconi ai Cinque Stelle, ma i loro partiti non hanno bisogno di democrazia: sono populisti e questo è un guaio per loro e per tutto il mondo occidentale perché il fenomeno del populismo è diffuso a piene mani». Ecco, forse dopo tutto questo sproloquio che avete intuito, l’unica definizione che ci sentiamo di dare del buon Scalfari la copiamo in realtà dal geniale e fugace vignettista Altan: eccola qui sotto..
@demartin @_arianna Sono #Scalfari, giornalista fondato da Eugenio Scalfari (Altan) pic.twitter.com/cIiqkLhl
— LSDP (@SpazioPolitica) 31 luglio 2012