Continua il commento di Roberto Colombo al ddl in discussione al Senato sulle Disposizioni anticipate di trattamento (Dat). Leggi qui il primo articolo.
2. Il recente intervento di papa Francesco al quale più volte si sono riferiti i sostenitori dell’approvazione definitiva del disegno di legge “Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento” (Dat) è quello del 7 novembre: un messaggio in occasione del meeting regionale europeo sulle questioni del “fine vita” promosso dall’Associazione Medica Mondiale in collaborazione con la Pontificia Accademia per la Vita.
È però inequivocabile, dalle espressioni usate nel testo del messaggio, dal contesto in cui esse sono inserite e dai documenti magisteriali citati dal Santo Padre, che egli intende escludere in modo categorico sia l’accanimento terapeutico che l’eutanasia. Questa lettura è stata offerta in un’intervista dal destinatario stesso del messaggio, il presidente della Pontificia Accademia per la Vita, l’arcivescovo Vincenzo Paglia, e da autorevoli commentatori cattolici e laici nei giorni successivi. “Vediamo bene, infatti — afferma il Papa — che non attivare mezzi sproporzionati o sospenderne l’uso, equivale a evitare l’accanimento terapeutico, cioè compiere un’azione che ha un significato etico completamente diverso dall’eutanasia, che rimane sempre illecita, in quanto si propone di interrompere la vita, procurando la morte”.
L’inganno costruito da alcuni fautori della legge calendarizzata al Senato è quello di difenderla affermando che in essa non si parla affatto di eutanasia. Ed è vero: il termine non vi compare, perché si lascia proditoriamente supporre che con esso si indichi solamente la forma più conclamata e aborrita di eutanasia — quella “commissiva” — popolarmente rappresentata dall’immagine di un medico o di un infermiere che inietta in vena ad un paziente un potente veleno. Azione, questa, che la legge non contempla affatto.
Ma esiste anche una seconda forma clinica ed etica di eutanasia — denominata “omissiva” —, anch’essa intenzionale al pari della prima, che consiste nel privare il paziente di un trattamento che è indispensabile per la sua sopravvivenza nelle condizioni cliniche in cui si trova, in quanto proporzionato all’effetto di sostenere le funzioni fisiologiche essenziali che ancora di questo trattamento possono giovarsi, non essendo compromesse a tal punto da non beneficiare più di esso. Tra queste cure che — quando proporzionate — non possono venire omesse senza causare il decesso del malato vi sono anche l’idratazione e la nutrizione (attraverso qualunque via di somministrazione, enterale o parenterale), come ha ricordato due giorni fa il Presidente della Conferenza episcopale italiana, il cardinale Gualtiero Bassetti, in un’intervista concessa a Radio Vaticana: nel “rifiutare terapie sproporzionate rispetto alle condizioni del paziente e alle sue prospettive di miglioramento […] non si tratta certo di rinunciare a quei gesti essenziali come sono il nutrire e l’idratare”.
Eppure, nel disegno di legge si afferma che il paziente può chiedere contestualmente rispetto alla propria condizione clinica o addirittura anticipatamente ad essa (senza neppure essersi mai trovato in quelle precise condizioni che li richiederebbero e nulla sapere di come il proprio corpo reagirebbe ad essi in tali circostanze) “la rinuncia o il rifiuto di trattamenti sanitari necessari alla propria sopravvivenza”, i quali, “ai fini della presente legge”, includono “la nutrizione artificiale e l’idratazione artificiale, in quanto somministrazione, su prescrizione medica, di nutrienti mediante dispositivi medici” (art. 1, c. 5).
Anche se — leggendolo scorrettamente fuori dal suo contesto — si volesse prescindere dall’evidenza che il papa Francesco ha inviato un messaggio in occasione di un convegno a livello europeo (le sue parole non hanno nessun riferimento diretto ad un dibattito in corso nel Parlamento italiano), non si può dimenticare che quando il Santo Padre parla di “eutanasia” come azione “sempre illecita” lo fa assumendo l’accezione di eutanasia che è propria del Magistero cattolico (con il quale si è posto esplicitamente in continuità nel suo stesso intervento).
Questa accezione unanimemente recepita dalla Chiesa comprende sia la forma “commissiva” che quella “omissiva”. “Per eutanasia in senso vero e proprio si deve intendere un’azione o un’omissione che di natura sua e nelle intenzioni procura la morte, allo scopo di eliminare ogni dolore. L’eutanasia si situa, dunque, al livello delle intenzioni e dei metodi usati” (Giovanni Palo II, lettera enciclica “Evangelium vitae”, n. 65, che riprende la Congregazione per la Dottrina della Fede, Dichiarazione sull’eutanasia Iura et bona, 5 maggio 1980), II).
(2 – continua. Leggi qui il primo articolo)