Avrebbe terminato la sua pena nel 2020 dopo la condanna per rapina che lo aveva portato al carcere presso il penitenziario di San Vittore a Milano, ma un giovane detenuto appena 20enne si è tolto la vita impiccandosi nel bagno della sua cella. Ennesimo caso di suicidio nelle carceri italiane e che ha segnato un nuovo fallimento per lo Stato, come ribadito dal Sappe, il sindacato autonomo polizia penitenziaria. Il segretario generale Donato Capece, come riporta l’agenzia di stampa Ansa, ha commentato dopo l’ennesima tragedia: “Tre detenuti che si tolgono la vita in carcere in meno di una settimana sono un fallimento per lo Stato”. Anche il 20enne rientra tra le vittime innocenti di un grave disagio individuale difficile da affrontare nonostante l’enorme sforzo degli operatori. Lo stesso Capece ha ricordato in una nota come lo scorso sabato si era suicidato un altro detenuto presso il penitenziario Regina Coeli a Roma, mentre la scorsa domenica era accaduto a Terni. Segnali importanti, questi, che certamente non possono essere ignorati. L’ultimo accaduto al San Vittore ha rappresentato, come commentato dal segretario regionale lombardo del Sappe, Alfonso Greco, motivo di “amarezza e sgomento”.
SUICIDA IN CARCERE: TERZO EPISODIO IN MENO DI UNA SETTIMANA
A nulla sarebbe valso il tempestivo intervento degli operatori del 118 che, giunti nella cella del 20enne, non hanno potuto fare altro che confermare la sua morte per suicidio. L’ultimo episodio si è consumato lo scorso martedì a San Vittore. La vittima, un giovane di origine marocchina. Il suo cadavere, come riporta MilanoToday.it è stato rinvenuto solo nella tarda serata, intorno alle 22:00. Il grave gesto era stato commentato dal segretario regionale della Lombardia Alfonso Greco, che aveva ripreso quanto evidenziato dal Comitato nazionale per la Bioetica, secondo il quale “il suicidio di un detenuto costituisce solo un aspetto di quella più ampia e complessa crisi di identità che il carcere determina, alterando i rapporti e le relazioni, disgregando le prospettive esistenziali, affievolendo progetti e speranze”. Quale potrebbe essere, a questo punto, la possibile soluzione di fronte a questa problematica sempre più diffusa nei penitenziari italiani? “La via più netta e radicale per eliminare tutti questi disagi sarebbe quella di un ripensamento complessivo della funzione della pena e, al suo interno, del ruolo del carcere”, secondo il Comitato nazionale.