Fiumi esondati, linee ferroviarie in tilt, raffiche di vento forti e improvvise: il maltempo presenta il conto, ma questa volta non c’è notizia. Le allerte funzionano, le scuole e gli uffici pubblici chiudono, gli strumenti messi in campo dalla Protezione civile creano un cordone di sicurezza attorno ai possibili pericoli. A parte qualche disagio, anche molto fastidioso, che cosa c’è da dire sul fatto che a dicembre piova, nevichi, tiri il vento o faccia freddo? 



A Genova lo chiamano “mugugno”: è il borbottio risentito che non perde occasione per far vedere quello che non va e mostrare a tutti che aveva ragione. Si scaglia sugli inconvenienti, suscita allarmismi, dà voce alle paure, alimenta le incertezze. A volte, per rafforzarsi, si diverte perfino a contrapporre la supposta inerzia delle istituzioni al coraggio silenzioso di volontari e militi che, in qualunque condizione atmosferica, operano per il bene di tutti. 



Sembra che, quando la natura si riprende la scena e il nostro alto tenore di vita è messo in discussione, le uniche cose con cui si debba fare i conti siano dunque le difficoltà del momento e i borbottii della gente. Tuttavia sappiamo bene che non è così: gli alberi che cadono, le strade interrotte, la paura del buio, ricordano a ciascuno di noi, almeno per un istante, che prima delle nostre scelte, prima della nostra libertà, esiste una natura, una realtà oggettiva, con cui fare i conti. Ogni volta che un fenomeno atmosferico si impone alla nostra attenzione, percepiamo che avere a che fare con il maltempo significa avere a che fare con il dato oggettivo delle cose che succedono e con il timore, tutt’altro che infondato, che le decisioni che abbiamo preso, come società e come singoli, non siano sufficienti a garantirci il bene della vita, ma abbiano conseguenze da affrontare. È come se ad un tratto ci rendessimo conto che non è vero che tutto è nelle nostre mani, che non è vero che possiamo sempre autodeterminarci senza aver cura di ciò che viene dopo, che non è vero che la nostra mente — e quello che essa pensa — possa piegare la realtà a suo piacimento. Va via la corrente, c’è buio, sibila il vento. E capiamo che le cose ci sono da prima di noi, che quello che abbiamo deciso rimane per sempre. E abbiamo paura. Che la notte non passi e che quello che essa ci farà scoprire ci faccia male. Perché, in fondo, ogni tempesta ci mostra che non si può andare avanti per sempre, che prima o poi di quello che siamo, e di quello che abbiamo scelto di essere, bisognerà risponderne. E non è affatto detto che il volto che rivedremo nello specchio al mattino dopo sarà lo stesso della sera prima. Ed è questo che, in definitiva, ci fa davvero paura.

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