Ancora un colpo di scena importante nel caso di Serena Mollicone, la giovane 18enne morta 16 anni fa. Dopo l’iscrizione nel registro degli indagati di un quarto uomo, un carabiniere, arriva in queste ore l’ulteriore novità. C’è un quinto indagato per l’omicidio di Serena. Lo rivela Il Messaggero nell’edizione online, chiarendo come anche in questo caso si tratti di un carabiniere, accusato di favoreggiamento. In riferimento alla morte della studentessa di Arce, siamo di fronte al terzo militare indagato e quest’ultimo risulta essere attualmente in servizio in un’altra provincia della Regione Lazio. Agli inizi dell’inchiesta sul delitto Mollicone, come spiega il quotidiano, il carabiniere era già stato al centro di alcuni accertamenti da parte degli inquirenti, ma la svolta sarebbe giunta solo oggi, a 16 anni dagli esordi del giallo. L’approfondimento su questa novità sarà affrontato questa sera nella nuova puntata di Chi l’ha visto, in diretta su RaiTre con Federica Sciarelli. (Aggiornamento di Emanuela Longo)
UN ALTRO CARABINIERE INDAGATO SOLO POCHI GIORNI FA
Sembrano rimettersi a posto, inesorabili, tutte le tessere del mosaico: alla fine – è la speranza – si avrà un quadro chiaro e completo del delitto di Arce, l’omicidio di Serena Mollicone. L’inchiesta sulla morte della 18enne, uccisa il primo giugno del 2001, fa registrare l’inserimento di un quarto indagato: è un carabiniere. Si tratta del secondo componente dell’Arma a finire sotto indagine: il primo fu l’ex maresciallo di Arce, Franco Mottola, sotto accusa insieme alla moglie e al figlio. Proprio il figlio di Mottola sarebbe stato il destinatario della denuncia che Serena era intenzionata a sporgere: quella di un traffico di stupefacenti che avrebbe rovinato la famiglia dell’ex maresciallo. Dalle perizie effettuate sul corpo della vittima, è stato accertato che le lesioni al cranio della ragazza sarebbero compatibili con un urto violento sulla porta di un alloggio della caserma evidentemente danneggiata e sottoposta a sequestro. Il quarto indagato, il carabiniere, non vive più ad Arce: all’epoca, però, prestava servizio nella “caserma degli orrori”. La stessa in cui lavorava Santino Tuzi, il carabinieri che si scoprì essere informato sui fatti e che venne trovato morto suicida in modalità quanto meno sospette. Fu lui il primo a dire che Serena era entrata in caserma: il sospetto è che ne sia uscita soltanto dopo morta, in seguito ad una violenta collutazione con chi aveva deciso di metterla a tacere per sempre, sperando che il bosco di Anitrella seppellisse per sempre i suoi segreti.
IL PADRE DI SERENA MOLLICONE: “LA VERITA’ STA IN CASERMA” (CHI L’HA VISTO?)
A Guglielmo Mollicone, papà di Serena, in passato hanno anche negato i funerali della figlia. Lo inserirono, senza alcun motivo, tra gli indagati, prelevandolo in mezzo allo shock generale. Quel tempo è passato, ma papà Guglielmo non ha smesso di cercare la verità per la figlia e adesso la vede ad un passo. Lo ha confermato all’agenzia Dire, che lo ha intervistato pochi giorni fa:”Ogni giorno una notizia qui diventa vecchia. Si va speditamente verso la verità. Io ho sempre detto che in caserma c’era l’origine della sua morte. Nel 2001 l’Arma non eseguiva ciò che le era demandato, ovvero mantenere l’ordine pubblico. In quel periodo Arce era una giungla, a causa soprattutto dell’incuria di chi doveva controllare e salvaguardare le vita delle persone: in quegli anni tanti ragazzi sono morti per droga ed e’ stato il periodo peggiore della storia di Arce. C’era malaffare e nessuno controllava. Avevo pensato a questo, a lei che perdeva l’equilibrio e sbatteva la testa. Invece ho dovuto assorbire anche questa stilettata: non era un incidente ma c’e’ stata la volontarietà di uccidere Serena. Non è caduta per caso ma è stata fatta sbattere di proposito contro la porta, le è stato fatto del male con percosse sulle ginocchia. E questi lividi chi glieli ha procurati? Perché non sono stati trovati 16 anni fa quando è stata fatta l’autopsia ma sono riapparsi oggi?“. Guglielmo Mollicone ha ammesso:”Ho pensato che qualcuno volesse attentare alla mia vita. Dormivo con il telefonino acceso non per difendermi ma per poter dire chi mi stava uccidendo. Non è successo forse perché hanno avuto paura ma io non ero tranquillo“.