LA DENUNCIA DELLA FAMIGLIA DELL’ATTENTATORE
Dopo l’attentato che ha colpito nuovamente a cuore l’America e le nuove polemiche seguite alla condanna da parte del Presidente Donald Trump del gesto compiuto dal 27enne bengalese Akayed Ullah, stanno facendo molto discutere nelle ultime ore le parole della famiglia del “lupo solitario” che ha fatto deflagrare un ordigno rudimentale nei pressi della Port Authority, una delle principali stazioni della metropolitana di New York, non molto lontano da Times Square. Il giovane, ferito dall’esplosione della stessa bomba che aveva causato quattro feriti ma nessuna vittima, era stato successivamente arrestato: tuttavia adesso i familiari, pur dicendosi “addolorati e col cuore spezzato” per quanto accaduto lunedì nella Grande Mela, ma allo stesso tempo “profondamente indignati” dal comportamento delle forze di polizia federali e degli inquirenti nel momento in cui è emersa la correlazione dell’attentatore con la loro comunità.
IL COMUNICATO DIFFUSO DAL LORO PORTAVOCE
Attraverso un comunicato letto alla presenza dei principali media statunitensi da Albert Fox Cahn (direttore del New York Chapter Council for Islamic Relations), la famiglia di Akayed Ullah ha sì espresso tristezza per un simile atto di violenza e per i “capi di imputazione contro un nostro parente” ma ha anche rivolto pesanti accuse agli ufficiali che, a loro dire, “sono arrivati a prendersela con un bambino di 4 anni e a portarlo fuori da scuola solamente per interrogarlo senza la presenza di alcun avvocato, né dei propri genitori”. Insomma, pur non essendo ancora ben chiaro se il bambino di 4 anni fosse imparentato col sospetto terrorista, i diretti interessati paiono puntare il dito contro la mano pesante degli agenti federali e i loro metodi brutali, perpetrati ai danni di due minorenni. “Non è questo il genere di metodi che ci aspetteremmo dalla giustizia del nostro Paese” continuava la breve nota diramata da parte della famiglia Ullah.
LA FIDUCIA NELLA GIUSTIZIA STATUNITENSE
Insomma, nonostante alla fine del comunicato i familiari del presunto attentatore bengalese (non affiliato all’ISIS ma che ha ammesso nel primo interrogatorio di essere stato ispirato nella sua azione dalla propaganda del sedicente Califfato Islamico) abbiano precisato che loro restano comunque “fiduciosi che la giustizia farà luce sulla vicenda” al fine di capire cosa sia accaduto lunedì scorso, resta comunque la polemica contro i metodi spartani usati nei loro confronti nelle ore immediatamente successive l’attentato: anche per questo motivo, gli Ullah hanno auspicato che, nei giorni a venire, non si verifichino nuovamente situazioni simili e, al termine della nota letta da Fox Cahn, hanno chiesto ai giornalisti di rispettare la loro privacy, dando loro il tempo di “addolorarsi per gli orribili sviluppi che ci saranno dopo quanto è accaduto”.