Sono trascorsi oltre 16 anni da quel primo giugno 2001, quando Serena Mollicone fu vittima di quello che venne ribattezzato tristemente come il delitto di Arce. Da allora, è stato un susseguirsi di depistaggi, misteriosi suicidi e false piste, nell’ambito di un’indagine che solo molti anni dopo sembra essere arrivata ad una svolta importante con l’iscrizione nel registro degli indagati di altri due carabinieri. I loro nomi si vanno ad aggiungere a quelli di Franco Mottola, sua moglie Anna e il figlio Marco, già indagati dalla Procura di Cassino per l’omicidio della 18enne e l’occultamento del suo cadavere. Ora, ad affiancarli ci sono anche Francesco Suprano e Vincenzo Quatrale. Come spiega Corriere.it, entrambi sottufficiali, il primo dovrà rispondere di favoreggiamento per aver taciuto agli inquirenti fatti ritenuti importanti ai fini delle indagini e di cui lui era a conoscenza, mentre il secondo è accusato di concorso in omicidio e istigazione al suicidio di un altro carabiniere, Santino Tuzi, che per primo chiamò in causa i suoi colleghi in merito al caso Mollicone. Alla studentessa modello di Arce fu riservata una morte crudele, come ricostruito dai pm: Serena fu tramortita in caserma e poi lasciata morire in un bosco con mani e piedi legati ed un sacchetto di plastica sulla testa. Il suo corpo fu rinvenuto il 3 giugno dello stesso anno, 3 giorni dopo la sua misteriosa scomparsa.



DELITTO MOLLICONE: LE STRANEZZE DIETRO LA MORTE DI SERENA

Furono numerose le stranezze emerse nel giallo di Arce sin dal ritrovamento del cadavere di Serena Mollicone: la notte precedente aveva piovuto, eppure i suoi vestiti risultarono essere asciutti. Il decesso, secondo l’autopsia, sarebbe stato provocato da un’asfissia, nonostante i segni di percosse sul corpo e la frattura alla tempia. Nessun segno di stupro sul suo corpo. Quel giorno, Serena ha una visita odontoiatrica e nel primo pomeriggio avrebbe dovuto raggiunger e il fidanzato, ma questo non avvenne. Fu proprio il giovane a lanciare per primo l’allarme e lui, insieme a papà Guglielmo, nel corso delle indagini finirono anche sotto inchiesta seppur in periodi diversi, prima di uscirne pulitissimi. Ulteriore stranezza riguardò il cellulare della vittima, comparso nella sua abitazione nella seconda perquisizione sebbene durante la prima non era mai stato rinvenuto. Quel cellulare che Serena portava sempre con sé. Non mancarono i depistaggi nella triste vicenda: Carmine Belli, carrozziere 35enne, inizialmente ammise di aver dato un passaggio alla ragazza prima di ritrattare. Nella sua officina furono rinvenuti un pezzo di carta relativo alla prenotazione medica di Serena e del nastro adesivo simile a quello usato sul cadavere. Nonostante il processo l’uomo fu assolto in Corte d’Assise e Cassazione per mancanza di riscontri sulle prove. E’ il 2008 quando il brigadiere Santino Tuzi per la prima volta rivela di aver visto Serena Mollicone entrare in caserma la mattina della sua scomparsa, alle 11:00. Fino alle 14:30, quando lui terminò il suo turno, non era ancora uscita. Il suo nome era stato appuntato sul registro delle presenze dove sarebbe stato parzialmente cancellato. Quattro giorni dopo quella deposizione, però, Tuzi si tolse la vita con un colpo di pistola. Fu spinto ad uccidersi? Solo negli ultimi giorni è emerso il risultato dell’importante perizia eseguita sulla salma riesumata di Serena Mollicone che rivela come la ferita alla testa sarebbe compatibile con la rottura della porta sequestrata all’interno della caserma dei Carabinieri. Il padre Guglielmo spiega che Serena aveva avuto un flirt con Marco Mottola, poi interrotto dopo che lui fu coinvolto in un giro di spaccio. Forse la Mollicone aveva intenzione di denunciarlo. Pagò con la sua vita questa scelta?

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