Una sorta di “vezzo”, o chissà, una vera e propria ossessione quella che spinse Simon Bramhall, chirurgo 53enne, a lasciare le sue iniziali sul fegato che trapiantava suoi pazienti. Quel vizio gli ha fatto guadagnare l’appellativo di chirurgo-Zorro ma lo ha fatto anche finire nei guai, poiché nel 2013 fu sospeso dopo essere stato scoperto da un suo collega, fino alle dimissioni presentate dallo stesso nel 2014. A riportare la sua storia è Corriere.it, in occasione del processo che lo vede imputato. Simon Bramhall era considerato uno dei migliori chirurghi del Queen Elizabeth Hospital di Birmingham dove ha prestato servizio per ben 12 anni. La sospensione giunse quattro anni fa, dopo che un collega notò le sue iniziali, “SB”, sul fegato di un paziente che aveva necessitato di un nuovo intervento. Le indagini appurarono due episodi, risalenti rispettivamente al febbraio ed all’agosto del 2013 ma non si esclude che il medico possa aver lasciato la sua “firma” in molti altri interventi. Nel corso del processo che si sta svolgendo e che lo vede alla sbarra, il 53enne ha ammesso di aver lasciato le sue iniziali su due organi ma ha respinto le accuse di aggressione e danno fisico.
EX PAZIENTE IN DIFESA DEL CHIRURGO-ZORRO: “MI HA SALVATO LA VITA”
Per imprimere sul fegato del paziente finito sotto i ferri, Simon Bramhall utilizzava il gas argon, spesso impiegato per cicatrizzare e fermare il sanguinamento. Fortunatamente gli esperti chiamati a deporre nel corso del processo hanno confermato che, nonostante il suo utilizzo improprio, il gas argon non risulta dannoso per la salute dell’uomo. Ad essere contestato dall’accusa è però soprattutto il lato etico dell’intera vicenda, chiaramente sbagliato ma anche il fatto che sia stato compiuto di fronte ai suoi colleghi. A scendere in campo in difesa delle “vittime” anche un’associazione in difesa dei due pazienti che ha tuonato: “Stiamo parlando di persone e non di libri da siglare”, condannando aspramente l’azione del chirurgo alla sbarra. A difenderlo a sorpresa è stata invece una sua ex paziente, Tracy Scriven, operata per una epatite autoimmune che minacciava di lasciarle solo poche settimane di vita. “Anche se avesse inciso le sue iniziali su un organo è così grave? A me non sarebbe importato niente. Mi ha salvato la vita”, ha commentato, ritenendo eccessivo un processo a carico del chirurgo inglese. Per la sentenza occorrerà invece attendere il prossimo 12 gennaio. Quale sarà la decisione del giudice?