Per la prima volta in Italia la Corte Costituzionale ha emesso una sentenza sulla discussa e molto delicata vicenda della maternità surrogata (la GPA, ovvero l’utero in affitto). In particolare, i giudici togati hanno stabilito che un giudice di un qualsivoglia tribunale italiano è chiamato a decidere del disconoscimento del figlio così concepito è sempre tenuto a confrontare l’interesse alla verità con l’interesse del minore. Provando ad uscire dagli arzigogoli tecnici e agli “indovinelli” che certe volte si celano nelle lunghissime sentenze della Consulta, il fatto storico risiede in ciò: «non è costituzionalmente ammissibile che l’esigenza di verità della filiazione si imponga in modo automatico sull’interesse del minore» – quindi non è possibile togliere in automatico i figli ai genitori che li hanno avuti con la maternità surrogata – «ma che neppure questi possano essere altrettanto automaticamente lasciati con loro, ma che per ogni caso il Tribunale dei minori della valutare, con un giudizio comparativo tra gli interessi sottesi all’accertamento della verità dello status e le conseguenze che da tale accertamento possano derivare sulla posizione giuridica del minore». Insomma, giudicando sul caso di una coppia di genitori italiani che hanno posto l’utero in affitto in India, la decisione dei giudici ha visto il riconoscimento da un lato – pratica tra l’altro già decisa da alcuni tribunali in Italia – della possibilità che per interessi del minore questa GPA venga comunque “ammessa” in quanto riconosciuta la maternità e paternità dei genitori che si sono affidati alla “gestazione per altri”. Di contro però, può avvenire ed è legittimo a livello costituzionale che gli stessi minori vengano tolti e non riconosciuti figli dei genitori “genetici” ma non naturali, sempre valutando l’interesse del minore.
“L’UTERO IN AFFITTO OFFENDE LA DIGNITÀ DELLE DONNE”
La vicenda è tecnica ma incide evidentemente sula possibilità di perseguire i genitori che ricorrono alla gravidanza per altri all’estero, visto che permette di non togliere in automatico loro la genitorialità dei bambini nati con utero in affitto – anche se non hanno legami genetici tra loro – se questo viene giudicato nell’interesse dello stesso minore. Tra le variabili di cui tener conto, scrive la Consulta, «oltre alla durata del rapporto con il minore e, quindi, alla condizione identitaria già acquisita, oggi assumono particolare rilevanza le modalità del concepimento e della gestazione e la possibilità per il genitore sociale di stabilire, mediante l’adozione in casi particolari, un legame giuridico che garantisca al minore un’adeguata tutela». Tra l’altro i giudici hanno valutato che nella valutazione comparativa rimessa al giudice rientra di fatto anche la «considerazione negativa che ha nel nostro ordinamento la surrogazione di maternità, che offende in modo intollerabile la dignità della donna e mina nel profondo le relazioni umane». La madre “intenzionale” dunque non può avere la certezza automatica di tenere con sé sempre il figlio, né l’esatto opposto: «i tribunali nel decidere sulla questione devono sempre valutare se far prevalere l’interesse alla verità o l’interesse del minore», scrive la sentenza 272 della Corte Costituzionale (ecco qui il testo per esteso). Insomma, uno studio orientato caso per caso, minore per minore, dovrà stabilire se il ricorso all’utero in affitto all’estero (da noi infatti rimane profondamente vietato) di fatto porterà il riconoscimento dei figli oppure il disconoscimento e l’affidamento “nei migliori interessi del minore”.