Poteva toccare a Potsdam. Mercatino di Natale, folla, colori, suoni, profumi, luci. In una farmacia è stato recapitato un ordigno, qualcuno è stato abbastanza accorto, e ha chiamato gli artificieri. Non una fake news, ma una bomba vera, che avrebbe provocato morti e dolore. Come l’altr’anno, a Berlino. Come ci stiamo abituando a sopportare, rassegnati, impotenti. Facile chiosare che un mercato è l’antitesi del Natale, ridotto a mera occasione commerciale. Moraleggiare sul senso del Natale perduto, quasi a meritarsi il disprezzo di chi, così lontano dalla nostra storia e cultura, nella sua vis iconoclasta colpisce l’Occidente intero, nel suo simbolo. Simbolo, appunto: non è tutto, non è neppure poco. 



Sono stata la scorsa settimana a Bolzano, ho attraversato il suo sfavillante mercatino di Natale. I banchi con gli oggetti artigianali portavano storia, tradizione, memoria: dai campanellini ai biscotti allo zenzero, dalle salsicce ai bicchieri di vin brulé, dai guanti di lana alle babbucce di feltro, alle statuine del presepe, che stava al centro, col campanile antico a far da sfondo e sostegno. Una terra, un popolo, sono anche questo folklore che è tepore di nonni, di casa, di sere fredde apparecchiate all’attesa. 



Forse abbiamo perso il senso di Chi, attendiamo. Di cosa, se non crediamo che Gesù si è fatto uomo. Perché comunque, credenti e non, attendiamo per il solo fatto di essere uomini, che si compia il nostro desiderio di pienezza, di felicità. Già il desiderio alza lo sguardo al Mistero che tutti ci pervade, per quanti sforzi si facciano a cancellare ogni domanda di significato. Ma i bambini non dimenticano, e se pure è babbo Natale e i suoi doni, che aspettano, ci aiutano ad essere protesi, attenti, curiosi. Dei simboli, dei segni, che da sempre ci parlano e indicano la via. 

Colpire un mercatino di Natale è non solo spezzare vite e trasformare la letizia in tragedia; è tagliare le radici che ci fanno quello che siamo: frettolosi, distratti, egoisti, vuoti. Ma un volto, nel buio di una sera d’inverno, una melodia d’infanzia, il sapore di un dolce, possono risvegliare un desiderio buono di verità, di cambiamento. Possono ridestare l’attesa dell’Amore che ci ha creati. E’ questo che i fanatici della devastazione non vogliono. Che guardiamo alla luce, che tiriamo su il capo. Cupi nel nero di barbe, turbanti, burqa, testa bassa a nascondere la voglia di vivere e sperare. Odiano la vita, amano solo la morte. 



L’altro giorno il burbero Massimo Cacciari ha rilasciato un’intervista bella e toccante al Giornale, lamentando che tutti oggi, “laici e cattolici, balbettino davanti all’evento che ha tagliato in due la storia”. Non è lecito essere indifferenti. Si può solo rispondere sì o no, ma al fatto cristiano tocca starci davanti. L’avvenimento di un Dio fatto uomo è una provocazione, una chiamata, che abbiamo ridotto a un appello per bambini vogliosi di regali. “Viviamo in un mondo che dimentica la dimensione spirituale”, spiegava, e la voce pareva rotta d’invidia. Sappiamo che la fede cristiana si è sempre comunicata così, per una tenerissima invidia. “Io voglio quello che vivi tu, incontrare ciò che ti fa più uomo, più donna, più aperto alla realtà, al bene”. Non c’entrano le prediche, le regole, le abitudini, se non per ricordare da dove veniamo; come lo stupore dei bambini, per tornare ad essere stupefatti davanti al Mistero. E’ uno scandalo, che un Dio fatto uomo doni se stesso per cambiare noi e il mondo. Non si può spiegare a parole. Ma chi è stato toccato dalla sua grazia ha il compito coraggioso e pericoloso di farlo conoscere al mondo. E’ un rischio, si fa prima a rintanarsi in casa, a pregare. Si fa prima a spegnerle, le luci di Natale. Si farebbe prima a buttarle giù, le chiese, prima che arrivino le bandiere nere a trucidare immagini e persone. Ma chi resiste, e trova la forza di cantare, insegna che Dio c’è davvero, e rende capaci di spianare le montagne dell’odio e del male. Chiamiamolo per nome, senza provare a spiegarlo, e dunque a giustificarlo un po’. Il Male si pronuncia con la maiuscola, ha messo in croce Dio, e ucciso tanti in suo nome. Dobbiamo credere che il seme gettato nella terra fiorisce, e non avere paura.