Con le dichiarazioni di un pentito, prima alla trasmissione Le Iene e poi direttamente agli inquirenti, si sarebbe aperto il vaso di Pandora sull’inquietante piano organizzato da un barelliere, il 42enne Davide Garofalo, finito in manette. Come riporta LaPresse, ad oggi le vittime accertate sarebbero tre, ovvero un uomo ed una donna entrambi molto anziani ed ormai malati terminali ed un secondo uomo di 55 anni. Eppure, le indagini si starebbero ora concentrando su oltre 50 casi ritenuti sospetti. Nel mirino degli inquirenti altri due soggetti, entrambi barellieri e i cui nomi sarebbero finiti nel registro degli indagati, sebbene la procura di Catania non abbia ancora reso nota la loro attuale posizione rispetto all’emblematica vicenda che ha scosso l’intera Sicilia. L’indagine, dunque, come prevede anche LiveSicilia, potrebbe allargarsi ulteriormente con il passare dei giorni. Ad oggi, sarebbero dieci i decessi con indizi, mentre tra il 2014 ed il 2016 le morti sospette sull’ambulanza dell’orrore sarebbero state almeno 50, come emerso dai magistrati. A mancare, però, sarebbero i testimoni e questo lascia intendere come difficilmente sarà fatta chiarezza sull’intera vicenda. (Aggiornamento di Emanuela Longo)



ALTRI TRE INDAGATI

Oltre al 42enne Davide Garofalo, arrestato con l’accusa di aver praticato le iniezioni endovena mortali ad almeno tre persone al fine di accelerarne il decesso e consegnare la loro salma ad agenzie funebri compiacenti, sarebbero stati iscritti altri tre nomi nel registro degli indagati. Lo riporta il quotidiano La Stampa che ribadisce le indagini di carabinieri e procura di Catania grazie alle dichiarazioni di un pentito che dopo aver raccontato quanto accadeva alla trasmissione Le Iene, ha ribadito il suo racconto choc anche agli inquirenti. Il meccanismo, a quanto pare, avrebbe preso il via dal 2012 e le vittime erano tutte malati terminali in cura presso l’ospedale di Biancavilla nel quale però medici ed infermieri sarebbero stati sempre all’oscuro dell’inquietante scenario che scattava da quando i familiari dei malati decidevano di far morire il proprio caro in casa piuttosto che in corsia. Proprio nel trasporto in ambulanza dal nosocomio all’abitazione, avveniva il decesso della persona ormai in fin di vita, accelerato dall’iniezione di aria nelle vene tramite agocannula che garantiva una morte veloce senza destare alcun sospetto presso i parenti delle vittime. Con la confessione del pentito, però, tutto è stato più chiaro, così come il denaro che le famiglie davano a Garofalo per il trasporto e la vestizione della salma, nonché l’approfittarsi del loro stato psicologico per proporre aziende di pompe funebri compiacenti che a loro volta riuscivano ad imporre con successo i propri servizi. (Aggiornamento di Emanuela Longo)



IL MODUS OPERANDI DI DAVIDE GAROFALO

Avrebbe ucciso due anziani e un 55enne durante il trasporto in ambulanza per guadagnare 300 euro. Le dichiarazioni di un pentito al programma tv Le Iene hanno portato all’arresto oggi di Davide Garofalo da parte dei carabinieri di Catania. Il barelliere 42enne è accusato di omicidio volontario. Il reato gli viene contestato con l’aggravante di aver agevolato gli interessi di Cosa nostra. Avrebbe iniettato aria in vena ad almeno tre persone anziane e malate per poi vendere ai loro familiari i servizi di onoranze funebri a pagamento. Il barelliere è indagato insieme ad altri due colleghi per episodi simili su altre ambulanze. La loro attuale posizione non è stata precisata dalla procura, ma le indagini riguardano oltre 50 casi, di cui una decina di decessi hanno «una maggiore pregnanza». Il caso della cosiddetta “ambulanza della morte” è stato preso in carico da poco meno di un anno, come riportato da La Repubblica. E il contributo di un pentito è stato utile per ricostruire il caso. Secondo il collaboratore di giustizia, le morti avvenivano durante il trasporto dall’ospedale di Biancavilla a casa dei pazienti, dimessi perché in fin di vita. 



AMBULANZA DELLA MORTE, UN ARRESTO DOPO INCHIESTA IENE

«La gente non moriva per mano di Dio», così il collaboratore di giustizia ha parlato del caso della “ambulanza della morte”. L’indagine era partita infatti in seguito ad un’inchiesta della Iena Roberta Rei, che in un servizio nel maggio scorso aveva ascoltato la testimonianza di un ambulanziere, a cui se ne era poi aggiunta una seconda. Gli iniettavano dell’aria con l’agocannula nel sangue, perché il malato «era in agonia e sarebbe deceduto lo stesso», quindi moriva per embolia. I familiari non se ne accorgevano e, approfittando del momento di grande dolore, veniva proposto loro l’intervento di un’agenzia di onoranze funebri. Secondo il testimone, il barelliere riceveva un «regalino» di 300 euro a salma. Il pentito inoltre sostiene che «erano i boss a mettere gli uomini sull’ambulanza» e che i «soldi andavano all’organizzazione». Come riportato da La Repubblica, così entra anche Cosa nostra in questa storia. Secondo l’accusa le “ambulanze della morte” agivano negli interessi del clan Mazzaglia-Toscano-Tomasello e del clan Santangelo di Adrano. Questa indagine non a caso è una prosecuzione dell’inchiesta della procura di Catania e dei carabinieri di Paternò sul clan mafioso di Biancavilla.

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