Il mondo della medicina dei Paesi industrializzati offre anche questo fine anno un paradosso: un pieno di insoddisfazioni a fronte di una macchina sanitaria di alto livello. Questo paradosso può trovare una chiave di lettura se si evidenzia che contemporaneamente assistiamo ad un arrembaggio del consumismo alla sanità – esami inutili che moltiplicano le liste d’attesa, medicina estetizzante, ricoveri impropri – sempre più forte: vedremo come quest’ultimo sia il granello di polvere che rovina un ottimo ingranaggio. 



La letteratura scientifica si interroga su quanto consumismo e salute siano compatibili tra loro, ma di solito il consumismo viene inteso ottimisticamente e positivamente come la possibilità per il malato di scegliere da chi e come farsi curare, e non come quello che al fondo è: una risposta condizionata da pubblicità di bisogni indotti e artificiali. Il Journal of the Royal Society of Medicine di novembre riecheggia questo dilemma, spiegando che esiste una medicina centrata sul paziente e un consumismo medico, dove l’unica differenza tra i due sta nella quantità di risorse: se ce ne fossero di più, si dovrebbe soddisfare ogni richiesta della “clientela”. Anche secondo il Journal of the American college of radiology e il Journal of Nursing administration, sembra che tutto il problema tra sanità e consumismo sia un problema di denaro, di assicurazioni e budget: il consumismo pare diventato un fenomeno positivo.



Invece il consumismo non significa, come vorrebbero molti, la fine del paternalismo medico, ma il soggiacere del malato alle leggi di mercato, trasformando il medico in operatore, il malato in cliente.

Il consumismo, quello duro e puro, in medicina lo ritroviamo a tre livelli: c’è un consumismo dovuto ai pazienti, che spesso viaggiando su internet o dando fiducia troppo facilmente a pubblicità e a supposti esperti chiedono cose che non hanno direttamente a che fare con un miglioramento clinico; c’è un consumismo dovuto alle strutture, in cui aver trasformato gli ospedali in aziende e i malati in clienti ha ridisegnato il rapporto tra medico e paziente; c’è infine un consumismo legato ai medici stessi, troppo legati a protocolli e poco capaci di fare il famoso “miglio in più”. Tuttavia assistiamo ad un paradosso: si pensa che stando dietro alle nuove domande nate dal consumismo aumenti la soddisfazione, ma mentre i budget statali per la sanità e il consumismo sanitario aumentano, la soddisfazione e la percezione di salute nella popolazione diminuiscono o quando va bene non crescono. 



Questo paradosso lo spiega un semplice fatto: la salute non è un problema solo di risorse, ma di come le risorse vengono offerte: “quello che” il sistema sanitario offre, offusca “come” lo offre. Ma se non lo offre adeguatamente finisce per generare insoddisfazione e dunque nuova patologia, nuovi esami, medicine, spese e così via in un circolo chiuso, chiusissimo.

Per il paziente, adeguatezza delle cure non significa solo avere l’ultimo ritrovato, o ottenere più esami magari impropri, ma significa in primis rispetto, dialogo, buona accoglienza, empatia. Il medico invece non è invitato su questa via, ma piuttosto a seguire protocolli, mansionari e orari come fosse in un’azienda, e la conseguenza è duplice: pensare – sbagliando – che seguendo un protocollo si è “fatto tutto il dovere”, e arrivare all’esito più infausto: la mediocrità. La mediocrità porta ad un rapporto mercantilistico e consumista della medicina, e questo porta a sprechi dovuti a domande esagerate o ad offerte di servizi ridondanti e doppioni, a richieste nate per paure addirittura indotte da parte del sistema farmaceutico nel cosiddetto “disease mongering“, ben descritto in letteratura (vedi Research in Social and Administrative Pharmacy di aprile 2017), cioè nelle campagne pubblicitarie tese a creare ansia nella popolazione verso malattie insignificanti o verso condizioni fisiologiche trasformate in malattie per vendere farmaci; e porta ad una deriva in cui la litigiosità e la diffidenza hanno creato e moltiplicato la soluzione giudiziaria delle incomprensioni mediche, portando alla moltiplicazione di esami e test ridondanti per quella che si chiama medicina difensiva. 

Occorre capire che la medicina si salva uscendo dal consumismo, riportando il rapporto tra medico e paziente su un piano di fiducia. Come? Valorizzando il capitale umano di cui il sistema sanitario è ricco, valorizzando le professionalità e le attitudini infermieristiche, mediche e delle altre professioni sanitarie, cosa però difficile finché gli ospedali saranno ancora considerate delle aziende, e i malati dei clienti: un pensiero che consigliamo con i propositi per la sanità del 2018.